lunedì 19 settembre 2011

Segreti di Stati - Capitolo 3

(Segreti di Stati - torna all'indice)

Capitolo III - Valerio Mattioli

Il caso del carabiniere Valerio Mattioli mi venne segnalato da Falco Accame, di cui parleremo in un capitolo a parte. Valerio aveva scoperto che esistono milioni di fascicoli in cui sono schedati i cittadini italiani, anche i morti ed i neonati. Siccome in questa schedatura vi sono anche annotazioni in merito ad aspetti personali ed inviolabili della privacy del cittadino, Valerio denunciò i pericoli che ne derivavano. La schedatura in base alla religione, ai gusti sessuali ed altri aspetti dei cittadini, non ha mai portato a niente di buono: basti ricordare la persecuzione degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. In quale modo si giustificano questi criteri all'interno degli archivi dei carabinieri? Perché 90 milioni di fascicoli? Proprio mentre esiste una autorità garante sulla Privacy? Pare di tornare al medioevo. Le vicessitudini di Valerio sono meglio descritte nel ricorso da lui presentato:

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO

RICORSO
per l’Appuntato scelto dei Carabinieri Valerio MATTIOLI, rappresentato e difeso, giusta procura a margine del presente atto, dagli avvocati Giorgio Carta e Giovanni Carta con i quali elegge domicilio in Roma, viale B. Buozzi, 76,

contro
il MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore,
per l'annullamento, previa sospensione,
- della determinazione del Direttore generale per il personale militare del Ministero della difesa prot. n. DGPM/II/6/40328/96 del 12 giugno 2002 che ha disposto la cessazione dal servizio permanente per «scarso rendimento» del ricorrente [doc. 1];
- della proposta di dispensa dal servizio contenuta nella nota del Comandante della 1^ Compagnia del 2° Reggimento allievi marescialli della Scuola Marescialli e brigadieri di Firenze n. 56/1 di prot. del 31 gennaio 2002 [doc. 2] e di tutti i pareri conformi espressi dalla scala gerarchica;
- del verbale della Commissione di Valutazione ed Avanzamento (COVA) del Comando generale dell’Arma dei carabinieri n. 108 del 27 marzo 2002 [doc. 3];
- di tutti gli atti comunque presupposti, connessi o conseguenti;

FATTO
Il ricorrente è stato arruolato nell'Arma dei Carabinieri il 20 novembre 1979 (matricola personale 018192-36-1961 - C.I.P. 187055QC) e, da ultimo, ha prestato servizio presso la Scuola marescialli e brigadieri dei carabinieri di Firenze, 1^ Compagnia allievi, con il grado di Appuntato scelto.
Per il reclutamento nel ruolo degli appuntati e dei carabinieri, l’art. 5, lett. d), d.lgs. 12.5.1995, n. 198, richiede il solo titolo di studio del diploma di istruzione secondaria di primo grado. Il Mattioli, invece, possiede il diploma di istruzione secondaria di secondo grado.
L'ultraventennale servizio prestato dal ricorrente nell’Arma dei carabinieri può essere schematicamente distinto in due fasi: una prima che va dall'arruolamento fino al 1996, per complessivi 17 anni, ed un'altra che va dal 1996 fino ad oggi, per complessivi 6 anni.
Nei primi diciassette anni di carriera, l’appuntato scelto Mattioli non riporta alcuna sanzione disciplinare e consegue brillanti valutazioni caratteristiche: salva una breve parentesi, infatti, dal 1985 al 1992 è giudicato “superiore alla media”; successivamente, fino al 1995, riporta la qualifica di “eccellente”, riservata dall'art. 3, comma II, del d.p.r. n. 1431/1965, «a coloro che emergano nettamente per qualità e rendimento eccezionali».
La documentazione caratteristica del ricorrente relativa alla prima fase della carriera così si esprime:
· «elemento di spiccate qualità fisiche, morali, militari ed intellettuali, alle quali unisce volontà e molto buon senso. Ha ottima cultura generale. Si è applicato … con zelo e passione sì da emergere sui pari grado. … Di eccellenti qualità complessive» [doc. 4];
· «attitudini particolari per il tiro» [doc. 5], circostanza questa da tenere presente in relazione a quanto si leggerà in un successivo documento caratteristico;
· «militare attivo, preciso ed in possesso di molta buona volontà. si è applicato al lavoro con impegno e spirito di sacrificio, fornendo un rendimento molto apprezzato. Ottimo collaboratore» [doc. 6];
· «ha svolto il suo incarico con serietà, impegno e buona volontà, fornendo risultati molto soddisfacenti» [doc. 7];
· «ha atteso con serietà, impegno e buona volontà ai compiti affidatigli, fornendo rendimento molto apprezzabile … risultati molto apprezzati» [doc. 8];
· «dotato di valida preparazione professionale, molto serio. Ha svolto i suoi compiti con solerte impegno» [doc. 9];
· «ha atteso ai propri doveri con vivo impegno, sacrificio, molta capacità e zelo … costante impegno ed elevata capacità … rendimento molto soddisfacente» [doc. 10];
· «apprezzabile impegno e sicura padronanza … i risultati conseguiti sono stati molto soddisfacenti» [doc. 11];
· «elemento preciso ed animato da buona volontà … alto senso del dovere, capacità e zelo» [doc. 12];
· «graduato diligente, serio, scrupoloso, riservato, professionalmente preparato … Il suo rendimento è stato molto elevato» [doc. 13];
· «attivo, volenteroso, serio e riservato» [doc. 14];
· «graduato di ottimi requisiti complessivi … Ha atteso ai compiti affidatigli con tenace impegno e volontà, fornendo ottimo rendimento» [doc. 15];
Fino al 1995, quindi, la carriera dell'appuntato Mattioli procede brillantemente e le valutazioni caratteristiche conseguite rivelano la generale stima e l'ottima considerazione dei superiori.
Il graduato è specialmente apprezzato nello svolgimento dei lavori di ufficio (gran parte della sua carriera si svolge alla Scuola ufficiali quale addetto al Reparto comando) e, in ragione della sua cultura generale e professionale superiore a quella dei pari grado, è ritenuto un prezioso collaboratore degli ufficiali.
L'inversione di tendenza nella considerazione del ricorrente da parte dei superiori si riscontra nello specchio valutativo n. 25, relativo al periodo 27.2.1995 - 15.8.1995, in virtù del quale la qualifica finale del militare declina da "eccellente" a "superiore alla media" [doc. 16].
Accade, infatti, che nel periodo oggetto di valutazione, il Mattioli chieda ai propri superiori di poter accedere ad un determinato carteggio al dichiarato scopo di poter denunciare illeciti amministrativi commessi all’interno del proprio ufficio.
Con lettera del 13.4.1995, il Capo di stato maggiore della Scuola Ufficiali Carabinieri, rigetta la richiesta dell'Appuntato Mattioli opponendogli il difetto del «relativo diritto di ricerca e/o acquisizione» (sic) e postulando un non meglio precisato «diritto di indagine di competenza dei soli superiori gerarchici» [doc. 17].
In esito a tale accadimento, che pure avrebbe dovuto denotare la scrupolosità del militare nell'assolvimento del proprio ufficio, il compilatore delle note caratteristiche del ricorrente annota, invece, che il Mattioli, «nel periodo in esame, a momenti di maggiore impegno ne ha fatto seguire altri in cui ha evidenziato minore attaccamento al servizio tanto che il suo rendimento, pur mantenendosi su livelli apprezzabili, ha subito una flessione» [doc. 16].
Il revisore dello specchio valutativo concorda con il giudizio espresso dal compilatore e aggiunge che il Mattioli, «in possesso di valida cultura generale e buona capacità professionale, ha offerto un rendimento che, seppur pregevole, non è stato ottimale».
Curiosamente, poi, l'intelligenza del militare non è più giudicata "ottima", ma semplicemente "buona", come se pure tale qualità fosse suscettibile di regressi.
Contro il documento caratteristico n. 25, il Mattioli propone ricorso straordinario che è, però, respinto.
Da questo momento in poi la carriera del ricorrente è un continuo succedersi di eventi che lo portano ad essere progressivamente emarginato dai superiori e dai colleghi, fino all'estremo atto dell'estromissione dall'Arma dei carabinieri oggetto dell'odierno gravame.
In data 13 marzo 1996, alcuni quotidiani nazionali pubblicano un intervento del Mattioli sull'argomento - molto dibattuto all'epoca - della condizione della popolazione di lingua tedesca dell'Alto Adige.
L'art. 9, comma I, della legge 11 luglio 1978, n. 382, consente senz'altro ai militari di pubblicare liberamente loro scritti, di tenere pubbliche conferenze e comunque di manifestare pubblicamente il proprio pensiero senza necessità di alcuna autorizzazione, salvo che si tratti di «argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio».
Ciononostante, il 28 marzo 1996, il ricorrente riporta 10 giorni di consegna di rigore per aver inviato «lettere a quotidiani nazionali legittimandone la pubblicazione, nelle quali sosteneva la militare occupazione del Trentino Alto Adige, così disconoscendo l'integrità del territorio nazionale e venendo quindi meno all'impegno di operare per l'assolvimento dei compiti istituzionali delle Forze armate con assoluta fedeltà».
Contro tale provvedimento, il graduato propone il ricorso n. 13324/1996 tuttora pendente dinanzi a codesto Ecc.mo TAR.
Nel periodo in esame (16.8.1995 - 22.7.1996), non solo il ricorrente passa dalla qualifica di "superiore alla media" a "nella media" [doc. 18], ma è altresì trasferito - per incompatibilità ambientale - da Roma alla Stazione dei carabinieri di Bucine, in provincia di Arezzo.
Contro entrambi i provvedimenti, l'appuntato Mattioli propone il ricorso n. 13328/1996 tuttora pendente dinanzi a codesto Ecc.mo TAR.
Con lo specchio valutativo successivo, compilato per il periodo 23.7.1996 - 27.3.1997, il ricorrente riceve direttamente la qualifica di "insufficiente", senza nemmeno passare per quella intermedia di "inferiore alla media" [doc. 19].
Improvvisamente, poi, per la documentazione caratteristica, la sua intelligenza diventa da "buona" a "normale" (in passato era stata "ottima"); la capacità professionale da "buona" diventa "scarsa"; e perfino la costituzione fisica passa da "robusta" a "normale" .
In verità, tali note sono compilate dal Comandante di Compagnia il 2 settembre 1997, dopo essere stato egli informato dal comandante interinale della dipendente Stazione carabinieri di Bucine di un procedimento della Procura di Arezzo che lo vedeva come indagato su denuncia proposta dallo stesso Mattioli [doc. 20].
Con separate istanze, il militare chiede di conferire con il Ministro della difesa e con il Comandante generale dell'Arma, ma gli viene concesso solo un colloquio con il comandante della Regione carabinieri Toscana.
Il rapporto informativo n. 29 relativo al periodo 13.9.1997 - 11.2.1998 esprime un giudizio sul graduato equivalente ad "insufficiente", ma è successivamente corretto dall'amministrazione a seguito di ricorso gerarchico vittoriosamente esperito dall'appuntato [doc. 22].
Si consideri che il documento caratteristico in esame, nel qualificare «deludente e del tutto insoddisfacente» il rendimento offerto, rileva perfino che il Mattioli è «insicuro ed impacciato anche nel maneggio delle armi e nell'attività addestrativa con le stesse». Tale affermazione, ponendosi in assoluta contraddizione con le «attitudini particolari per il tiro» già riscontrate in passato [vedi doc. 5], fa dubitare della serenità di giudizio del compilatore.
Il 10 novembre 1997, il ricorrente subisce la sanzione del "rimprovero" per aver omesso di «informare il proprio comando di evento in cui era stato coinvolto, per il quale sporgeva denuncia presso altro organo di polizia».
In realtà, il Mattioli, di passaggio all’Università degli Studi “La Sapienza di Roma”, aveva notato che alcuni laureandi lasciavano somme di danaro agli uscieri prima di entrare nella sala delle lauree per discutere la tesi e ne aveva informato la Centrale Operativa dei Carabinieri chiedendone l’intervento. Ricevuto un diniego, aveva allora denunciato il fatto al Commissariato di polizia più vicino, ben consapevole che il predetto organo di polizia avrebbe informato i propri superiori e ritenendo, per questo, di attendere un compiacimento da questi ultimi.
Contro la sanzione invece scaturitane, il Mattioli propone ricorso straordinario che ha però esito negativo.
Nel medesimo periodo, un quotidiano nazionale pubblica una lettera del Mattioli in cui questi esprime proprie considerazioni sui gravosi turni di servizio quotidianamente affrontati dai carabinieri.
A seguito di ciò, gli sono irrogati 5 giorni di consegna di rigore con l'accusa di aver espresso «giudizi gravemente lesivi al prestigio e alla reputazione di altri militari, considerati come categoria».
Nello stesso periodo viene sanzionato dal Comando Carabinieri Regione Toscana con la consegna di rigore per aver fatto apparire (nell’ottobre 1996) sul giornale “La Stampa” alcune critiche al personaggio televisivo del “maresciallo Rocca”.
Per il medesimo fatto, il ricorrente è altresì denunciato dai superiori sia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino che a quella presso la Pretura della medesima città. Le due Procure, nel concordare che trattavasi di libera manifestazione del pensiero, chiedono l’archiviazione dei entrambi i procedimenti. Di conseguenza, la sanzione disciplinare frattanto irrogata è annullata a seguito di ricorso gerarchico vittoriosamente esperito dal Ricorrente.
Il militare viene trasferito alla Stazione di San Giovanni Valdarno (AR) con l'incarico di autista e di addetto al Nucleo Comando della Compagnia.
Nel gennaio 1998, l'appuntato Mattioli invia, per via gerarchica, una nota al Comandante generale ove denuncia la violazione della legge 31 dicembre 1996, n. 675 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali) da parte dell’Arma [doc. 24].
Più precisamente, rappresenta alla scala gerarchica l'illegittimità della prassi dell'Arma dei carabinieri di redigere le c.d. pratiche permanenti (rectius: schedature) delle persone fisiche e giuridiche anche con riferimento ai «dati sensibili» di cui all'art. 22 della legge sulla privacy. Tali sono i dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.
La denuncia del militare rimane senza esito ed egli è fatto bersaglio di ulteriori punizioni, di riservate personali e di vessazioni sempre più frequenti.
Succede, infatti, che egli chieda all’amministrazione della difesa la cancellazione della registrazione di dati riguardanti le proprie opinioni personali (nella specie: aver criticato il personaggio televisivo del maresciallo Rocca). La legge n. 675/1996 prevede che tale tipo di istanza vada presentata direttamente all’Ufficio o Ente che detiene i dati
Ciò nonostante, il 3 febbraio successivo, il ricorrente riporta ben 7 giorni di consegna per avere inoltrato una «istanza relativa a vicenda disciplinare nella quale era rimasto coinvolto senza osservare la via gerarchica».
Contro il provvedimento sanzionatorio, il militare propone ricorso straordinario che ha però esito negativo.
Nello stesso periodo, il Mattioli è sanzionato con 5 giorni di consegna per aver proposto un’istanza di accesso i cui toni vengono giudicati «lesivi della dignità» dell’autorità cui è destinata (il capo ufficio segreteria e personale della Regione CC Toscana). La sanzione è, però, annullata a seguito di ricorso straordinario vittoriosamente esperito dal ricorrente.
In data 6 febbraio 1998, il Mattioli riporta la sanzione del rimprovero in quanto, in occasione di un'ispezione al reparto del Comandante di Compagnia, si sarebbe presentato «in maniera poco reattiva e con l'uniforme in disordine». In realtà, accade semplicemente che il ricorrente non calzi i guanti d’ordinanza. Contro la sanzione, il militare propone un ricorso straordinario che ha esito negativo.
Dal 6 all'11 settembre 1999, il ricorrente frequenta a Vicenza un corso di aggiornamento per appuntati scelti e riporta la qualifica di “buono” [doc. 22]. Tale giudizio positivo è conseguito grazie al superamento di test attitudinali, culturali e professionali a punteggio predefinito sui quali, pertanto, non può incidere il giudizio dei superiori.
Ciononostante, il documento caratteristico n. 37, relativo al periodo immediatamente precedente ed immediatamente successivo al corso assegna al Mattioli la qualifica finale di "insufficiente" [doc. 23].
Tale documento caratteristico - fra i tanti denigratori della dignità e dell'immagine dell'appuntato Mattioli succedutisi nella seconda fase della sua carriera - è, anzi, il più scomposto e contraddittorio.
Vi si legge, infatti, che l'intelligenza e la cultura del graduato sono "scarse" e - contestualmente - che egli è «intelligente» e di «buona preparazione culturale di base».
Perfino la «costituzione fisica» del militare non è più giudicata "robusta" come in passato [docc. nn. 7, 8, 10, 11, 17, 13, 14, 15, 16 e 18], né normale [docc. nn. 5 e 19], ma addirittura "gracile" e «di scarsa prestanza», segno evidente dell'intento che anima i compilatori della documentazione caratteristica.
La «salute», che era stata sempre giudicata "buona" [docc. nn. 5, 16, 18 e 19] se non "ottima" [docc. nn. 7, 8, 11, 12, 13, 14 e 15], è ora valutata "cagionevole".
La «intelligenza», prima valutata "buona" [docc. 5, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 16 e 18], " ottima " [doc. 15] o, comunque, "normale" [doc. 19], è ora giudicata "scarsa" e via dicendo.
Contro tale nota caratteristica, il graduato propone un ricorso straordinario tuttora pendente.
Essendo rimaste senza esito le segnalazioni precedentemente fatte alla scala gerarchica circa la violazione della legge sulla privacy, il Mattioli, nell’agosto del 1999, ne fa denuncia all'Autorità giudiziaria. La Magistratura delega le indagini agli stessi Carabinieri ed il procedimento viene di lì a poco archiviato. Al ricorrente sono, invece, inflitti tre giorni di consegna di rigore per aver inoltrato «denuncia all'A.G. senza informare il superiore diretto».
Contro tale sanzione, il Mattioli ricorre dinanzi a Capo dello Stato evidenziando - sostanzialmente - come nessuna norma giuridica imponga alla polizia giudiziaria di informare i superiori circa l’intenzione di denunciarli dinnanzi all’autorità giudiziaria. L’impugnazione è, ciò nondimeno, respinta.
Il 1° marzo 2000, l'appuntato Mattioli riporta 5 giorni di consegna, accusato di aver svolto negligentemente il servizio «indirizzando verso altro ufficio un cittadino recatosi in caserma a riferire notizie relative a grave delitto precedentemente perpetrato nel territorio e deludendone così le aspettative».
In realtà, il cittadino si era presentato per riferire notizie relative ad una rapina le cui indagini erano state delegate dall’Autorità giudiziaria al locale Commissariato della Polizia di Stato. Il Mattioli, pertanto, anche in ossequio all’auspicato coordinamento delle forze di polizia, aveva indirizzato il cittadino presso quell’ufficio, non senza contattare telefonicamente l’Ispettore competente per avvisarlo dell’imminente arrivo della persona interessata.
Contro la sanzione inflitta, il Mattioli propone un ricorso straordinario che però ha esito negativo.
Risultate inutili le denunce ai propri superiori ed alla stessa Autorità giudiziaria, nel maggio 2000, il ricorrente segnala la schedatura dei cittadini da parte dell'Arma dei Carabinieri al Garante per la protezione dei dati personali che avvia un'ampia istruttoria sul caso.
Questa volta, la denuncia fatta dal ricorrente ha grande eco su tutti gli organi di stampa e sui media nazionali.
Per tutta risposta, la scala gerarchica irroga 7 giorni di consegna di rigore al Mattioli per aver egli inoltrato «direttamente» - e non per il tramite dell'amministrazione - la denuncia all'Autority e per aver rilasciato «dichiarazioni ad organi di stampa riguardanti argomenti riconducibili al servizio, senza aver preventivamente richiesto ed ottenuto autorizzazione». E’ noto invece, come il Mattioli avesse già inutilmente sollecitato l’intervento dei vertici della propria amministrazione.
Contro tale sanzione il militare propone ricorso gerarchico sul quale l'amministrazione omette di pronunciarsi. Decorsi 90 giorni, il medesimo propone il ricorso n. 1339/2001 tuttora pendente dinanzi a codesto Ecc.mo TAR.
Nel gennaio 2000, sulle «continue vessazioni e punizioni cui è ... sottoposto l’appuntato Valerio Mattioli», il senatore Russo Spena pronuncia un'interrogazione parlamentare al Ministro della difesa [doc. 25] che non riceve però alcuna risposta.
A tale interrogazione parlamentare ne seguiranno altre 12, tutte rimaste senza esito.
Lo specchio valutativo n. 38, relativo al periodo 7.10.1999 - 6.10.2000, denuncia «lo scarso attaccamento all'Istituzione» del Mattioli ed il suo «eccessivo senso critico nei confronti delle norme e dei regolamenti» e si conclude con l'attribuzione della qualifica più bassa: "insufficiente" [doc. 26].
Contro il documento caratteristico, il Mattioli propone un ricorso gerarchico tuttora pendente.
Nell’ottobre 2000, i superiori gerarchici propongono la cessazione dal servizio permanente del ricorrente.
La stampa nazionale continua ad occuparsi delle schedature tenute dall'Arma e frattanto denuncia le vessazioni cui è sottoposto il militare che ha sollevato il problema.
Il 13 novembre 2000, il ricorrente riporta altri 8 giorni di consegna di rigore per aver rilasciato ad organi di stampa «dichiarazioni riguardanti il servizio volutamente artefatte con le quali ledeva il prestigio dell'istituzione e di altri militari e violava i doveri attinenti al proprio stato, in particolare al senso di responsabilità».
Contro tale provvedimento il Mattioli propone un ricorso straordinario tuttora pendente.
L'11 gennaio 2001, il Garante della protezione dei dati personali, accertata le irregolarità denunciate dal Mattioli, segnala al Presidente del Consiglio dei ministri ed al Ministro della difesa l'esigenza di un «rapido adeguamento normativo» [doc. 27].
Con il medesimo provvedimento, il Garante della privacy segnala al Comando generale dell'Arma dei carabinieri «la necessità di conformare i trattamenti di dati personali» alle disposizioni vigenti e lo invita a «fornire un riscontro» sulle iniziative intraprese.
Il 24 gennaio 2001, il ricorrente riporta ulteriori 10 giorni di consegna di rigore per aver rilasciato dichiarazioni riguardanti il servizio e per avere leso il «prestigio dell’Istituzione».
Contro tale provvedimento il Mattioli propone un ricorso straordinario che è tuttora pendente.
Il seguente 26 gennaio, il ricorrente riporta altri 9 giorni di consegna di rigore per aver rilasciato dichiarazioni alla stampa.
Anche contro tale provvedimento il Mattioli propone un ricorso straordinario ancora pendente.
Nel febbraio del 2001, al ricorrente è comunicata la proposta di trasferimento «per incompatibilità ambientale» inoltrata nei suoi confronti dal Comandante provinciale di Arezzo, con nota n. 172/2 del 5 gennaio precedente [doc. 34].
A giustificazione dell'asserita incompatibilità ambientale, il superiore gerarchico falsamente attestava che il Mattioli «anche nelle attività di ufficio inerenti la contabilità carbolubrificanti e la manutenzione degli automezzi del reparto non ha dimostrato una qualificata capacità professionale» e che, pertanto, «non è impiegabile in alcuno dei compiti connessi con l'incarico». Il medesimo superiore aggiungeva che il militare, «a causa dell'atteggiamento assunto a seguito delle vicende che lo vedono coinvolto, note in tutta Italia attraverso la stampa, per l'aperta conflittualità con l'istituzione e suoi appartenenti, è inviso ai commilitoni che avvertono un forte senso di disagio, nei rapporti con lui».
Con nota del 7 febbraio 2001, il ricorrente smentisce tutte le affermazioni del Comandante provinciale ma, soprattutto, precisa di essergli stata da sempre (illegittimamente) preclusa ogni «attività d'ufficio» e, quindi, anche di «contabilità dei carbolubrificanti», nonostante il suo incarico di addetto al Nucleo Comando della Compagnia [doc. 35].
Premesso ciò, l'appuntato scelto Mattioli assegna al proprio superiore un termine per rettificare le dichiarazioni contenute nella proposta di trasferimento, scaduto inutilmente il quale, si riserva di deferire la questione all'Autorità giudiziaria.
In esito a tale diffida, con nota n. 172/9 del successivo 12 febbraio, il Comandante provinciale di Arezzo riconosce che effettivamente il Mattioli «non è stato impegnato nelle attività d'ufficio e tantomeno nella trattazione della contabilità carbolubrificanti» [doc. 36].
Con nota n. 1171/115-1996-T del 2.4.2001, il Comandante della Regione Toscana informa il ricorrente di aver archiviato la proposta di trasferimento per incompatibilità ambientale formulata dal Comandante provinciale di Arezzo.
Questo episodio, forse più di altri, chiarisce lo spirito che anima i superiori del ricorrente allorché giudicano negativamente il suo rendimento: sono pronti a dichiarare che il Mattioli «nelle attività di ufficio … non ha dimostrato una qualificata capacità professionale», salvo ammettere di non averlo mai impiegato in tale incarico.
L'episodio evidenzia, altresì, come il ricorrente sia stato illegittimamente impiegato in mansioni diverse da quelle assegnate e, ciononostante, sia stato valutato "insufficiente" quale «addetto al Nucleo comando della Compagnia» in ognuno dei documenti caratteristici nn. 37, 38 e 39 [docc. nn. 23, 26 e 31] posti, poi, a fondamento della proposta di destituzione.
L'11 aprile 2001, il ricorrente riporta altri 10 giorni di consegna di rigore per dichiarazioni rilasciate alla stampa. Contro tale provvedimento il Mattioli propone un ricorso straordinario tuttora pendente.
Frattanto, il Capo del I Reparto - SM - Ufficio Personale del Comando generale, con nota n. 187055/D-1-22 del 13 marzo 2001, comunica che il Vice comandante generale dell'Arma, avvalendosi della delega del Comandante generale, ha disposto di non dare ulteriore corso alla proposta di cessazione dal servizio permanente a carico dell'appuntato scelto Mattioli e di concedere a questi «un'ulteriore possibilità di recupero, in considerazione delle valutazioni riportate in epoca antecedente all'anno 1996» [doc. 28].
Il Vice Comandante generale dispone altresì di intimare al ricorrente di «mutare condotta» e di seguire il «comportamento del graduato quantomeno sino alla prossima valutazione caratteristica, per stabilire la sua completa riqualificazione ovvero, sussistendone i presupposti, per avviare un'ulteriore proposta destitutiva».
Con tale determinazione, quindi, l'amministrazione ritiene di non poter dare corso alla proposta di cessazione dal servizio in considerazione dei risultati conseguiti e dell'eccellente servizio reso dal ricorrente nei primi 17 anni di carriera. Rimanda, pertanto, ogni eventuale determinazione «quantomeno» all'esito della «prossima» valutazione caratteristica (non quindi a quella già in itinere) con espressa riserva di proporre nuovamente la destituzione solo a condizione del ripetersi dei presupposti nel periodo di prova.
* * * * *
Con nota n. 208/11 di prot. 2000 del 16 marzo 2001, il Comandante della Compagnia di San Giovanni Valdarno, invita l'appuntato scelto Mattioli a «mutare condotta» [doc. 29].
Nello stesso periodo, questi firma alcuni articoli sul quotidiano "Liberazione" senza che l'amministrazione ritenga di dover procedere al riguardo. Invero, in relazione ad un articolo, è instaurato un nuovo procedimento disciplinare che è, però, archiviato il successivo 6 giugno con l'espresso riconoscimento, per il caso di specie, della libertà di manifestazione del pensiero dell'interessato [doc. 30].
Frattanto, si chiude la valutazione caratteristica per il periodo in corso (7.10.2000 - 22.7.2001) ed il corrispondente specchio valutativo n. 39 attribuisce al ricorrente la qualifica finale di "insufficiente" [doc. 31].
Contro il documento caratteristico, il Mattioli propone il ricorso n. 5435/2002, tuttora pendente dinanzi a codesto Ecc.mo TAR.
Accade pure che i superiori denuncino il ricorrente per «violata consegna o abbandono da parte di militare di servizio aggravato» per essersi questi recato, durante il servizio, a consumare un caffè al bar.
Il 13 giugno 2001, il Mattioli è prosciolto dal GUP militare di La Spezia «perché il fatto non sussiste» [doc. 32]. Nella sentenza di archiviazione, il GUP critica piuttosto l’operato del capitano che aveva denunciato il fatto ed il procedimento disciplinare, frattanto instaurato, è annullato con determinazione del 26 novembre 2001.
Il 23 luglio successivo, il ricorrente è trasferito «per servizio» al Comando Scuola Marescialli e Brigadieri dei Carabinieri di Firenze con il dichiarato scopo di «procedere al recupero professionale» dello stesso ed in considerazione del passato impiego presso la scuola ufficiali, «ricordato come particolarmente fertile» [doc. 41].
Il 3 agosto 2001, il quotidiano Liberazione pubblica un intervento del Mattioli dal titolo «pena di morte camuffata, norme da abrogare - considerazioni sull'uso legittimo delle armi da parte delle forze dell'ordine» [doc. 33].
In tale scritto, il ricorrente - senza trattare argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio - espone il proprio pensiero sul contenuto e sugli effetti dell'art. 53 del codice penale, auspicandone la riforma o l'abrogazione da parte del Parlamento.
Ciononostante, l’11 ottobre 2001, vengono irrogati al Mattioli 12 giorni di consegna di rigore per avere rilasciato alla stampa «dichiarazioni attinenti il servizio» ed avere in tale occasione espresso «giudizi gravemente lesivi del prestigio delle forze di polizia».
Contro tale sanzione, il militare esperisce ricorso gerarchico che ha esito negativo. Successivamente, propone il ricorso n. 4307/2002 tuttora pendente presso codesto Ecc.mo TAR.
* * * * *
Con nota n. 56/1 del 31 gennaio 2002, il nuovo comandante di Compagnia del ricorrente propone per questi la dispensa dal servizio «per scarso rendimento, nonché gravi reiterate mancanze disciplinari che siano state oggetto di consegna di rigore» [doc. 2].
La nota sottolinea che, nonostante l'intimazione a mutare condotta notificata dopo il rigetto della prima proposta destitutiva, il Mattioli, «in sede di successiva valutazione caratteristica», è stato nuovamente valutato "insufficiente", «quantunque», dall'ultima suddetta intimazione, avesse avuto a disposizione «ben quattro mesi e cinque giorni» per fornire elementi di ravvedimento.
In realtà, la valutazione caratteristica n. 39 - relativa al periodo 7.10.2000 - 22.7.2001 [doc. 31] - non è «successiva», ma coeva sia al rigetto del 13 marzo 2001 della prima proposta destitutiva [doc. 28], che all'intimazione a mutare condotta notificata il 17 marzo seguente.
L'autorità proponente la dispensa dal servizio del graduato - in ossequio alla determinazione del Vice Comandante generale dell’Arma - avrebbe, invece, dovuto attendere «quantomeno» la valutazione caratteristica riferita al periodo successivo al 23 luglio 2001.
Con zelo insolito per qualsiasi agente della pubblica amministrazione, invece, il comandante di Compagnia concede all'interessato solo «quattro mesi e cinque giorni per fornire elementi di ravvedimento, ed ottenere il conseguimento di un giudizio positivo, o almeno di livello superiore». Egli non considera che, al momento dell'esortazione a mutare condotta, erano trascorsi già cinque mesi e dieci giorni del periodo oggetto di valutazione e che, pertanto, sarebbe stato davvero improbabile poter fornire «elementi di ravvedimento» tali da meritare - nel periodo di valutazione già in corso - l'auspicato «conseguimento di un giudizio positivo, o almeno di livello superiore».
L’autorità procedente rileva altresì che, successivamente all’intimazione a «mutare condotta», il Mattioli ha riportato 12 giorni di consegna di rigore e che avverso il relativo provvedimento questi ha proposto ricorso gerarchico, «tuttora pendente».
Tale circostanza è ulteriormente rivelatrice dello zelo e delle intenzioni che animano il superiore gerarchico, il quale - pur consapevole della pendenza del ricorso gerarchico proposto avverso la sanzione - ciò nondimeno non esita ad avviare il grave procedimento destitutivo odiernamente impugnato.
Tale comportamento, a dispetto dell’affermato proposito di riconoscere al militare «un’ulteriore possibilità di recupero», rivela la ferma intenzione della scala gerarchica di chiudere sbrigativamente la permanenza in servizio del Mattioli. E, a tal fine, di non voler attendere nemmeno i novanta giorni che la legge riconosce al superiore gerarchico per decidere il ricorso esperito dal militare, salva peraltro la possibilità che sullo stesso si formi comunque, nello stesso termine, il silenzio diniego di cui all’art. 6, D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199.
L’autorità proponente, inoltre, assume falsamente che, «dal 1996 alla data odierna, l’Appuntato scelto Mattioli» ha costantemente riportato un «giudizio complessivo sfavorevole».
Come si è detto, infatti, il documento caratteristico n. 36, relativo al periodo di frequentazione del 2° ciclo di aggiornamento per Appuntati scelti, riporta la qualifica di “buono” [doc. 22], ma tale circostanza è curiosamente sottaciuta nella proposta di destituzione in esame.
L’omissione risulta tutt’altro che casuale o, comunque dovuta a distrazione del compilatore, se si considera che pure l’allegato n. 5 («Valutazioni caratteristiche dell’appuntato Scelto CC Mattioli Valerio») omette di riportare, alla riga 36, il giudizio positivo conseguito dal ricorrente [doc. 37].
Ancor più grave è, però, l’omissione relativa ai primi 17 anni di carriera del militare che non vengono in alcun modo rievocati nel predisporre la proposta di destituzione del graduato.
L’autorità proponente addebita, altresì, al militare di aver temerariamente «avviato ed alimentato un vasto contenzioso amministrativo e giurisdizionale» e conclude con la richiesta di dispensa dal servizio permanente ai sensi degli artt. 12 e 17 della legge 18 ottobre 1961, n. 1168.
Con foglio n. 56/3 del 31 gennaio 2002, il Comandante della 1^ Compagnia della Scuola di Firenze, comunica al ricorrente l’avvio del procedimento e lo invita, se del caso, a presentare memorie scritte e documenti ai sensi dell’art. 10 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
In esito a tale invito, il Mattioli presenta due memorie scritte [docc. nn. 39 e 39] e chiede di essere sentito dalla Commissione chiamata ad esprimere il parere sulla proposta di dispensa dal servizio.
Giusta il richiamato art. 17 della legge n. 1168/1961, la dispensa dal servizio è adottata in seguito a proposta delle autorità gerarchiche da cui il militare dipende e previo parere delle autorità competenti ad esprimere giudizi sull'avanzamento.
Pertanto, la proposta di cessazione dal servizio del ricorrente è sottoposta all’adesione dell’intera scala gerarchica. In particolare, con nota n. 207/3 del 13 febbraio 2002, il generale di divisione Salvatore Fenu, quale responsabile del Comando delle scuole dell’Arma, esprime parere favorevole all’accoglimento [doc. 40].
Il 27 marzo successivo, la Commissione di Valutazione ed Avanzamento (COVA) si riunisce per esprimere il proprio parere sulla proposta di destituzione formulata dalla scala gerarchica del ricorrente.
L’organo è presieduto dal generale di divisione Salvatore Fenu che ha già espresso parere favorevole alla proposta nella sua qualità di autorità gerarchica da cui il militare dipende [doc. 3].
Il Presidente della COVA, però, preso atto della propria incompatibilità, anziché astenersi, semplicemente si determina a «presenziare i lavori della Commissione astenendosi dal partecipare alla disamina del caso ed alla votazione finale, svolgendo esclusivamente le funzioni di coordinatore e moderatore».
La Commissione così composta prende poi in esame e valuta il carteggio relativo alla carriera del Mattioli dal 1996 in poi, ma non quello relativo ai precedenti 17 anni di servizio.
La determinazione del Comando generale di non dare corso alla prima proposta destitutiva «in considerazione delle valutazioni riportate in epoca antecedente al 1996» [doc. 28] precluderebbe alla COVA di porre a base della odierna valutazione anche le risultanze documentali precedenti al marzo 2001, già giudicate recessive rispetto ai meriti acquisiti dal ricorrente nei primi 17 anni di carriera.
La Commissione, invece che valutare la sussistenza dei presupposti della destituzione in relazione al solo periodo successivo all’ultima intimazione a «mutare condotta» (così come stabilito dal Vice Comandante generale), arbitrariamente esamina la carriera del Mattioli a partire dal 1996. Altrettanto arbitrariamente non prende in alcuna considerazione le risultanze (più che brillanti) degli anni 1979 - 1996.
Dall’esame dei punti da a) ad m) del verbale, infatti, si ricava che la COVA prende in considerazione i soli eventi verificatisi dal 23 marzo 1996 ad oggi.
Inoltre, pure in tale circostanza, l’amministrazione omette di considerare (e finanche di riportare) il giudizio di “buono” conseguito dal Mattioli nel corso di aggiornamento per appuntati. Curiosamente, infatti, alla lettera i) del verbale si dà atto della frequentazione del corso, ma non anche del giudizio ivi riportato [vedi pag. 5 del doc. 3].
L’art. 10 della legge n. 241/1990 (espressamente richiamato nella comunicazione dell’avvio del procedimento) imporrebbe all’amministrazione di «valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento» le memorie scritte presentate dal Mattioli [docc. nn. 38 e 39].
Ciononostante, le memorie presentate dal ricorrente non sono minimamente prese in considerazione. Inoltre, «ogni membro della Commissione», compreso il Presidente, ritiene di «non esprimere osservazioni sulle considerazioni avanzate dal graduato ... poiché innovative rispetto a quanto già presente in atti o noto» alla medesima.
Al termine dei lavori, la Commissione esprime parere favorevole alla cessazione per scarso rendimento dell’Appuntato scelto Mattioli.
Infine, con determinazione prot. n. DGPM/II/6/40328/96 del 12 giugno 2002, il Direttore generale per il personale militare del Ministero della difesa, attestata la «regolarità» del procedimento seguito, dispone la cessazione dal servizio permanente del ricorrente.
Peraltro, anche detta autorità omette di valutare le deduzioni difensive espresse e la documentazione prodotta dal Mattioli in sede di audizione da parte della COVA.
Contro tale provvedimento, illegittimo ed ingiusto, e contro tutti i rimanenti atti del procedimento si propone ora ricorso per i seguenti motivi di

D I R I T T O
I. Violazione degli artt. 3 e 10, lett. b), della legge n. 241/1990 - Violazione degli artt. 12 e 17 della legge n. 1169/1961 - Violazione della direttiva della Direzione generale per personale militare del Ministero della difesa n. DGPM/II/5/30001/C42 del 22.5.2000 - Eccesso di potere per carenza di motivazione, per violazione di circolare e per difetto di istruttoria.
La pubblica amministrazione ha violato gli artt. 3 e 10 della legge n. 241/1990, in quanto il parere della Commissione di avanzamento e, parimenti, il provvedimento finale impugnato non motivano circa le ragioni per cui sono state infine disattese le giustificazioni addotte a sua discolpa dal ricorrente.
In base al comma 1 dell’art. 3 citato, ogni provvedimento amministrativo deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria.
In virtù dell’art. 10, lett. b), seguente, l'amministrazione ha «l'obbligo di valutare», ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento, le memorie scritte ed i documenti presentati dal soggetto nei confronti del quale il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti.
Tale norma ha lo scopo di consentire all'interessato, a proposito di ogni atto amministrativo che possa arrecare offesa ai suoi diritti, libertà ed interessi, di proporre fatti ed argomenti e, occorrendo, di offrire mezzi di prova in suo favore di cui l'autorità amministrativa deve tener conto (C. Stato, sez. VI, 09-08-1996, n. 1000).
Il procedimento destitutivo odiernamente impugnato è disciplinato dall’art. 12, 2º comma, lett. c) e dall’art. 17 della legge 18 ottobre 1961 n. 1168. La Corte costituzionale, con sentenza 18 luglio 1997, n. 240, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto delle predette disposizioni nella parte in cui prevede la dispensa dal servizio permanente del sottufficiale dei carabinieri per scarso rendimento «senza la partecipazione dell'interessato al procedimento».
Con tale sentenza, la Consulta ha affermato che «la mancata previsione della partecipazione dell'interessato vulnera le garanzie procedurali, poste a presidio della difesa, e lede così il buon andamento dell'amministrazione militare sotto il profilo della migliore utilizzazione delle risorse professionali (sent. n. 126 del 1995)» ed ha ribadito «l'illegittimità dei meccanismi di destituzione o di dispensa dal servizio che abbiano carattere automatico e, comunque, siano strutturati in modo tale da non consentire la partecipazione dell'interessato al procedimento disciplinare, risultando violato il fondamentale canone di razionalità normativa».
Partecipare al procedimento significa, in primo luogo, poter interloquire con l’amministrazione in modo che gli interessi rappresentati dal cittadino siano specificamente presi in considerazione al momento di adottare la decisione finale. Senza una valutazione delle osservazioni rese dall’interessato, la facoltà di essere sentito e di produrre memorie scritte e documenti resta fine a se stessa e non realizza la tutela procedimentale del privato.
Coerentemente, la direttiva del Ministero della difesa, Direzione generale per il personale militare, prot. n. DGPM/II/30001/C42 del 22 maggio 2000, nel disciplinare la procedura di dispensa dal servizio permanente per scarso rendimento, stabilisce il preciso obbligo di garantire all’interessato «la possibilità di essere sentito personalmente ... e di vedere ivi esaminate le sue eventuali memorie difensive» [doc. 42, paragrafo 5].
I principi ora riportati risultano essere stati disattesi tanto dal provvedimento finale impugnato quanto dagli atti presupposti.
Invero, in sede di comunicazione di avvio del procedimento, l’amministrazione aveva avvertito il ricorrente della sua facoltà di presentare memorie scritte e documenti e di essere sentito personalmente dalla COVA. Il Mattioli, pertanto, aveva presentato due memorie scritte [docc. 38 e 39] e aveva chiesto l’audizione da parte della Commissione.
Detto organo, però, ha infine vanificato entrambi gli strumenti di partecipazione esperiti dall’interessato, limitandosi a dichiarare nel verbale che «ogni membro della Commissione, espressamente interpellato, ha ritenuto di non esprimere osservazioni sulle considerazioni avanzate dal graduato ... poiché non innovative rispetto a quanto già presente in atti o noto alla Commissione».
Ora, è evidente che, ai sensi della normativa richiamata ed in particolare dell’art. 10 della legge n. 241/1990, l’amministrazione non ha la facoltà, ma l’«obbligo di valutare» le memorie presentate e le osservazioni espresse dal soggetto interessato al procedimento. E’, pertanto, illegittimo (ed arbitrario) che i componenti della COVA abbiano «ritenuto di non esprimere osservazioni sulle considerazioni avanzate dal graduato».
L’asserita “non innovatività” delle difese del ricorrente «rispetto a quanto già presente in atti o noto alla Commissione», poi, non costituisce un legittimo motivo di astensione dalla valutazione richiesta. Anche in considerazione della indeterminatezza del parametro di ciò che è «già ... noto alla Commissione» o no.
Le «risultanze dell’istruttoria» richiamate dell’art. 3 della legge n. 241/1990 senz’altro ricomprendono le difese esposte dal ricorrente in sede di audizione personale, ma nel caso di specie queste sono rimaste estranee alla valutazione compiuta dall’organo consultivo. O, almeno, dell’eventuale loro valutazione non si è dato conto nella motivazione degli atti emanati.
Manca, infatti, ogni indicazione delle ragioni per le quali sia stato disatteso quanto rappresentato dall’Appuntato Mattioli a sua discolpa, pur avendo l'Amministrazione l'obbligo di valutarle e di motivare le ragioni del dissenso.
Allo stesso modo, il provvedimento finale non motiva sulle ragioni per cui sono state disattese le deduzioni difensive dell’interessato, limitandosi a dichiarare di averne «preso atto» [doc. 1].
L’esame delle due memorie scritte presentate dal ricorrente [docc. 38 e 39] rivela la sicura pertinenza delle valutazioni e delle considerazioni ivi espresse con l’oggetto del procedimento. Ciò nonostante, in relazione ad esse, l’amministrazione ha inadempiuto il relativo obbligo di valutazione o, comunque, di motivazione, limitandosi, come detto, ad una presa d’atto.
Per il Consiglio di Stato, sez. VI, 15-07-1998, n. 1074, è illegittimo, per difetto di motivazione, il provvedimento che non rechi alcuna valutazione degli apporti forniti dal privato in sede procedimentale ai sensi dell'art. 10, lett. b), l. 7 agosto 1990 n. 241 (nelle stesso senso: C. Stato, sez. IV, 22-02-2001, n. 995).
Singolarmente, il parere espresso dalla COVA fa esplicito riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 126 del 5.4.1995 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 33 della legge n. 599/1954, nella parte in cui non prevede che al sottufficiale proposto per la dispensa dal servizio sia assegnato un termine per presentare, ove creda, le proprie osservazioni e sia data la possibilità di essere sentito personalmente.
Tali facoltà, nel caso di specie, sono infine risultate inutiliter datae dal momento che, pur essendo stato consentito al ricorrente di intervenire nel procedimento, l’amministrazione ha poi completamente ignorato le difese da questi svolte.
Codesto Ecc.mo Tribunale, Sez. III, con la sentenza n. 824 del 17.5.1995, ha già chiarito che l'omessa valutazione da parte dell'Amministrazione della pertinenza all'oggetto del procedimento delle memorie scritte o documenti presentati dai soggetti interessati ai sensi dell'art. 10, lett. b), legge n. 241/1990, costituisce un vizio del procedimento quale violazione di legge e comporta l'illegittimità del provvedimento finale emanato.
L'Amministrazione, infatti, prima di provvedere, ha l'obbligo di prendere in considerazione e di valutare le osservazioni e i documenti presentati dai soggetti che intervengono nel procedimento, col solo limite che deve trattarsi di atti pertinenti all'oggetto del procedimento stesso. L'omessa loro valutazione costituisce vizio del procedimento e ne comporta l'illegittimità (TAR Valle d’Aosta, n. 25 del 19.2.1997). Nello stesso senso, si vedano del medesimo TAR le sentenze n. 69 del 22.5.1998, n. 45 del 18.3.1999 e n. 90 del14.5.1999. Si vedano pure: TAR Toscana, n. 870 del 29.10.1999; TAR Lazio, Sez. I, n. 4007 del 27.12.1999; TAR Trentino Alto Adige, Sez. Trento, n. 100 del 14.4.2000.
II. Violazione dell’art. 17 della legge n. 1169/1961 e dell’art. 97 della Costituzione - Eccesso di potere per vizio della volontà - Mancata astensione di un organo incompatibile.
La normativa vigente prevede che il provvedimento di cessazione dal servizio continuativo per scarso rendimento sia adottato dal Direttore generale per il personale militare «in seguito a proposta delle autorità gerarchiche da cui il militare dipende e previo parere delle autorità competenti ad esprimere giudizi sull'avanzamento» (art. 17, legge n. 1168/1961).
Trattasi di procedimento amministrativo c.d. complesso che richiede l’intervento dialettico di tre distinte autorità: i superiori gerarchici dell’interessato, con funzione propositiva o di impulso; la COVA, con funzione consultiva obbligatoria; ed il Direttore generale, con funzione decisionale.
Il legislatore, in considerazione dei rilevanti effetti prodotti sul destinatario del provvedimento finale, ha cioè disposto che la procedura destitutiva consti delle determinazioni e delle valutazioni dei tre distinti organi.
Nel caso di specie, però, la dialettica tra gli organi astrattamente prospettata dal legislatore è stata vulnerata dalla riunione in capo al Generale Salvatore Fenu tanto della qualità di superiore gerarchico del ricorrente (quale comandante delle Scuole dell’Arma dei carabinieri) quanto della qualità di Presidente della COVA.
Di conseguenza, il Generale Fenu ha esercitato nel medesimo procedimento sia la funzione propositiva del provvedimento finale, con la nota n. 207/3 del 13 febbraio 2002 [doc. 40], sia la funzione consultiva, presiedendo la COVA nella seduta del 27 marzo successivo [doc. 3].
Sostanzialmente, il Generale Fenu ha concorso ad esprimere parere favorevole su una proposta di destituzione da lui stesso formulata.
Tale situazione ha pregiudicato l’imparzialità e la neutralità della funzione consultiva demandata alla COVA. La Commissione, infatti, è stata chiamata ad esprimere il proprio parere su una proposta sollecitata dal suo stesso Presidente (nonché membro più alto in grado) e, quindi, in difetto di quella terzietà auspicata dal legislatore nel disciplinare il procedimento in esame.
E’ per evitare il verificarsi di detta situazione che, per esempio, l’art. 70 della legge 31 luglio 1954, n. 599, dispone che non possano far parte della Commissione di disciplina i «superiori gerarchici alle cui dipendenze il sottufficiale prestava servizio allorché commise i fatti che determinarono il procedimento disciplinare, o alle cui dipendenze il giudicando si trovi alla data di convocazione della Commissione di disciplina».
Reso edotto dell’incompatibilità, il Presidente della COVA, anziché astenersi, ha nondimeno ritenuto di «presenziare ai lavori», semplicemente dichiarando di astenersi «dal partecipare alla disamina del caso ed alla votazione finale» e proponendosi di svolgere «esclusivamente le funzioni di coordinatore e moderatore».
In realtà, già dal verbale della COVA si evince che il generale Fenu non si è limitato a coordinare - dall’esterno - i lavori della Commissione, ma ha quantomeno contribuito alla unanime deliberazione di «non esprimere osservazioni» sulle deduzioni difensive svolte dal ricorrente. Determinazione, questa, che ha gravemente influito sull’esito del procedimento.
A pagina 7 del verbale, infatti, si legge che «ogni membro della Commissione» - e quindi anche il Presidente - è stato «espressamente interpellato» sul punto e «ha ritenuto di non esprimere osservazioni» dando, così, luogo al vizio di legittimità descritto nel primo motivo di ricorso.
In ogni caso, il componente di un organo collegiale che si trovi, in relazione alla proposta in discussione, in una situazione di incompatibilità, di conflitto di interessi o comunque di mancata serenità di giudizio, è obbligato ad astenersi dal prendere parte alla delibera. Tale obbligo comporta non solo il divieto di partecipare alla discussione e alla votazione (come preteso dal Generale Fenu), ma altresì il divieto di presenziare alla seduta, perché la sua sola presenza potrebbe influenzarne l’esito.
L’obbligo di astensione si basa su un principio assoluto, correlato ai canoni costituzionali d’imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., sicché il relativo vizio di mancata astensione non può essere superato nemmeno dalla c.d. prova di resistenza (cioè dal permanere del quorum della deliberazione anche escludendo il voto del membro illegittimamente non astenutosi), poiché la sola presenza dell’obbligato all’astensione è atta ad influenzare il deliberato ed a deviare la statuizione dell’organo collegiale dall’imparzialità cui dovrebbe sempre attenersi l’operato dell’amministrazione (T.a.r. Puglia, sez. I, Lecce, 27-05-1997, n. 308; nello stesso senso T.a.r. Sicilia, sez. Catania [ord.], 31-01-1997, n. 311).
Il principio dell’obbligo di astensione è «da ritenere applicabile a tutti i casi in cui i funzionari i quali debbano provvedere possano non trovarsi, per una qualche palese ragione di ordine obbiettivo, in posizione di assoluta serenità rispetto alla decisione che dovrebbero adottare o contribuire ad adottare» (A.M. Sandulli, Manuale di diritto Amministrativo, vol. I, pag. 588, 1989).
Ciò vale a maggior ragione per il presidente di una commissione tenuto, in quanto tale, ad assicurare nel procedimento l’osservanza della normativa vigente ed a garantire l’ordine e la regolarità dei lavori.
Con la sua mancata astensione, quindi, il Generale Fenu ha violato il principio di imparzialità per il quale la realizzazione dei compiti assegnati all’amministrazione non deve andar disgiunta dal rispetto della giustizia sostanziale (A.M. Sandulli, op. cit, vol. I, pag. 587). Di conseguenza, il parere espresso dalla Commissione risulta viziato da eccesso di potere.
Il Generale Fenu, nel rilevare egli stesso la propria incompatibilità, aveva ritenuto che, per la normativa in vigore, la Commissione potesse riunirsi e formulare pareri «solo nella sua completezza» e che, pertanto risultasse «necessaria» la propria partecipazione quale Presidente.
In realtà, tale argomento non ha pregio, considerato che, giusta l’art. 31 della legge 10 maggio 1983, n. 212, per ciascuna commissione sono nominati membri supplenti che ben avrebbero potuto sostituirlo in caso di sua astensione.
III. Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 - Eccesso di potere per travisamento dei fatti, per difetto di istruttoria di motivazione e per discostamento da precedenti determinazioni della medesima amministrazione - Violazione del principio generale del ne bis in idem.
Come già sottolineato, la prima proposta di dispensa dal servizio del ricorrente era stata respinta con determinazione del Vice Comandante generale dell’Arma, «in considerazione delle valutazioni riportate - dal Mattioli - in epoca antecedente all’anno 1996» [doc. 28].
In tale occasione, l’Autorità gerarchica aveva espresso un giudizio di prevalenza dei meriti conseguiti dal ricorrente nei primi 17 anni di carriera rispetto ai demeriti accertati nei 6 anni successivi.
Con lo stesso provvedimento, i diretti superiori erano stati invitati a seguire attentamente il comportamento del graduato «quantomeno sino alla prossima valutazione caratteristica», per verificare la sua completa riqualificazione ovvero, «sussistendone i presupposti», per avviare un’ulteriore proposta destitutiva.
Il Comandante di compagnia del ricorrente, però, non attenendosi alle istruzioni del Vice Comandante generale, ha avviato la nuova proposta di destituzione senza attendere né la successiva valutazione caratteristica del graduato, né il ripetersi dei presupposti previsti dalla legge per la dispensa dal servizio permanente.
In effetti, al momento del rigetto della prima proposta destitutiva, si era già al 13 marzo 2001 ed il periodo di valutazione in svolgimento era già giunto al sesto mese. Era evidente, allora, che il Vice Comandante generale, nel rinviare «quantomeno ... alla prossima valutazione caratteristica», avesse inteso riferirsi al periodo di valutazione successivo e non a quello già in avanzato svolgimento.
Invece, dopo soli quattro mesi, alla chiusura non del successivo, ma del medesimo periodo di valutazione, il Comandante di Compagnia del ricorrente ha ritenuto sussistere nuovamente i presupposti per chiedere la destituzione del ricorrente ed ha avviato il relativo procedimento.
Tale determinazione si pone chiaramente in contrasto con quanto disposto dal Vice Comandante generale dell’Arma con la determinazione del 13 marzo 2001 [doc. 28].
Essa contrasta, altresì, con la già richiamata direttiva del Ministero della difesa, Direzione generale per il personale militare, prot. n. DGPM/II/30001/C42 del 22.5.2000 [doc. 42], che disciplina il procedimento in esame.
Il punto 13 di tale direttiva dispone che, successivamente all’ammonimento scritto in ordine alle conseguenze derivanti dal mancato ravvedimento, il procedimento di destituzione possa essere attivato solo qualora il medesimo militare «riporti successivamente la qualifica di “insufficiente”, riferita ad un periodo di servizio di almeno un anno».
Ciò significa che la messa in prova del militare invitato a mutare condotta non può essere inferiore ad un anno.
Parimenti, la circolare del Comando Generale dell’Arma n. 18999-20/D-29 del 10 novembre 1990, impone che la proposta debba riferirsi ad «un periodo ragionevolmente lungo (uno o due anni)» [doc. 43].
Questa è la ragione per cui il Vice Comandante Generale, nel rigettare la prima proposta destitutiva, aveva rinviato ogni ulteriore determinazione «quantomeno sino alla prossima valutazione caratteristica». Si rammenta, infatti, che, ai sensi dell’art. 4, D.P.R. 15 giugno 1965, n. 1431, i documenti caratteristici debbono essere compilati al compimento del periodo massimo di 12 mesi di servizio non documentato.
Il comandante di Compagnia del Mattioli, invece, ha ritenuto bastevole che il ricorrente dall’ultima intimazione a mutare condotta avesse avuto a disposizione «ben quattro mesi e cinque giorni per fornire elementi di ravvedimento» [doc. 2] e ha, pertanto, avviato il nuovo procedimento.
La determinazione di dare nuovo impulso al procedimento è allora illegittima per eccesso di potere perché si pone in contrasto con i precedenti atti e le precedenti statuizioni in materia della medesima amministrazione senza, peraltro, dare contezza nella motivazione delle ragioni di tale discostamento.
L’illegittimità della proposta destitutiva si trae anche sotto il profilo della ragionevolezza e della logicità della scelta amministrativa compiuta.
Si è detto in narrativa, infatti, che il Comandante di Compagnia del ricorrente ha basato la seconda proposta di destituzione sul documento caratteristico n. 39 [doc. 31] senza considerare che, al momento dell'esortazione a mutare condotta, erano trascorsi già cinque mesi e dieci giorni del periodo oggetto di valutazione e che, pertanto, sarebbe risultato davvero improbabile poter fornire «elementi di ravvedimento» tali da meritare - già nel periodo di valutazione in corso - l'auspicato «conseguimento di un giudizio positivo, o almeno di livello superiore».
L’atto di impulso del procedimento è irragionevole pure sotto un altro profilo. Il 23 luglio 2001, il ricorrente era stato trasferito dalla Stazione di San Giovanni Valdarno al Comando Scuola Marescialli e Brigadieri dei Carabinieri di Firenze con il dichiarato scopo di «procedere al recupero professionale» dello stesso [doc. 41].
Dopo l’ammonimento a mutare condotta del 16 marzo 2001, infatti, era stato lo stesso ricorrente a sollecitare il ritrasferimento nell’Organizzazione Addestrativa dell’Arma, in considerazione del fatto che il passato impiego presso la Scuola ufficiali si era rivelato «particolarmente fertile».
A seguito dell’adesione del Comando generale alla proposta del Mattioli, ci si sarebbe aspettato che la sua messa in prova si riferisse al servizio prestato nel nuovo incarico ed al cospetto dei nuovi superiori gerarchici, compilatori delle note caratteristiche.
Invece, il nuovo Comandante di Compagnia del graduato ha azionato il procedimento di dispensa sulla scorta della valutazione caratteristica n. 39 riferita ancora al vecchio incarico, prestato alla Stazione carabinieri di S. Giovanni Valdarno [doc. 31].
Non ha cioè atteso di valutare il servizio offerto dal ricorrente nel nuovo incarico e con ciò ha tradito lo scopo del recente trasferimento del Mattioli.
Inoltre, ha giudicato fatti accaduti in un altro Comando senza nulla dire in merito all’attuale rendimento in servizio del ricorrente.
Questa circostanza rivela ulteriormente come i superiori gerarchici del ricorrente abbiano inteso liquidare la pratica relativa alla sua dispensa dal servizio sbrigativamente e senza offrirgli una reale occasione di ravvedimento.
I rilevati vizi logici della proposta destitutiva si sono poi riverberati nelle successive fasi del procedimento determinando l’ulteriore illegittimità del provvedimento finale.
Il procedimento impugnato è viziato da eccesso di potere altresì per travisamento di fatto.
La proposta di cessazione dal servizio, infatti, avrebbe dovuto tener conto dei soli eventi successivi all’ultima intimazione a mutare condotta. Così aveva disposto il Vice Comandante Generale nel rigettare la prima proposta destitutiva e nel rinviare l’eventuale rinnovazione del procedimento al verificarsi dei presupposti nel corso, quantomeno, della successiva valutazione caratteristica [doc. 28].
Il Comandante di Compagnia del ricorrente, invece, nel giustificare la richiesta di destituzione, ha nuovamente fatto riferimento alle vicende occorse al ricorrente a partire dall’anno 1996.
Tale considerazione gli era preclusa dalla determinazione del Vice Comandante Generale che, in data 13 marzo 2001, aveva ritenuto «le valutazioni riportate antecedentemente all’anno 1996» prevalenti sulle valutazioni riportate dopo il 1996. La medesima autorità aveva altresì invitato ad avviare un’ulteriore proposta destitutiva solo al ripetersi dei presupposti nel periodo successivo all’intimazione.
La determinazione assunta dall’amministrazione, quindi, si pone in contrasto con le precedenti statuizioni del superiore gerarchico ed è pertanto viziata da eccesso di potere.
Essa viola, altresì, il principio del ne bis in idem sostanziale in quanto i fatti successivi al 1996, ma antecedenti all’ultima intimazione a mutare condotta, erano stati già valutati ai fini del rigetto della prima proposta di destituzione. Di conseguenza, è illegittimo il provvedimento di dispensa dal servizio per scarso rendimento odiernamente basato sugli stessi fatti oggetto del precedente procedimento di cessazione, conclusosi con l’archiviazione.
Arbitrariamente, invece, i medesimi atti del procedimento, nel ricostruire la carriera del Mattioli, omettono ogni riferimento ai primi 17 anni di servizio prestati dal ricorrente.
Tale omissione, riconducibile già all’atto di impulso del procedimento, risulta non solo ingiustificata, ma altresì gravemente fuorviante per le autorità successivamente pronunciatesi sulla proposta destitutiva.
Difatti, sia il verbale della COVA che il provvedimento finale non fanno alcun riferimento ai primi 17 anni di carriera - che pure sono la parte preponderante dei 23 anni di servizio complessivamente svolti dal Mattioli - e che, come è noto, sono stati contrassegnati dalle più brillanti valutazioni caratteristiche.
In questo modo, l’autorità proponente ha fornito agli altri organi intervenuti nel procedimento una ricostruzione soltanto parziale del thema decidendum, tale da trarre comunque in errore chi ha una conoscenza solo cartolare delle vicende occorse al ricorrente.
Al riguardo, C. Stato, Sez. IV, 17-07-1996, n. 873, ha affermato che è illegittimo per illogicità e contraddittorietà il provvedimento con il quale l’amministrazione della difesa dispone la cessazione di un militare per scarso rendimento e cattiva condotta, assumendo a fondamento della decisione adottata il giudizio negativo espresso nei confronti dello stesso in un determinato arco temporale e trascurando completamente il giudizio, di segno opposto, reso nei confronti dello stesso militare nei periodi antecedenti o successivi.
Nel caso di specie, quindi, si ritiene che l’amministrazione avrebbe dovuto far riferimento solo ai fatti successivi all’ultima intimazione a mutare condotta. Ma, pur in ipotesi ammettendo il contrario, è del tutto arbitrario che l’amministrazione abbia trascurato di considerare un arco temporale pari a due terzi del servizio complessivamente prestato dal ricorrente.
Si rileva, altresì, come nella proposta di destituzione e nella documentazione ad essa allegata sia stato omesso ogni riferimento al giudizio di “buono” riportato dal ricorrente in esito alla frequentazione del 2° corso di aggiornamento per appuntati [doc. 22].
Parimenti, il punto i) del verbale della COVA, a pag. 5, pur menzionando l’avvenuta partecipazione del militare al corso di aggiornamento, ha omesso di indicare il giudizio ivi riportato.
L’omissione si rivela particolarmente fuorviante per le autorità successivamente intervenute nel procedimento in considerazione del fatto che il corso risale al settembre del 1999 e, quindi, nel pieno di quel periodo dal 1996 al 2001 che l’amministrazione ha giudicato così negativamente da giustificare la dispensa dal servizio del ricorrente.
Non è questa la sede per accertare se l’eventuale considerazione del giudizio riportato dal ricorrente nel corso di aggiornamento avrebbe potuto determinare un diverso esito del procedimento.
Però è certo che l’istruttoria svolta dall’amministrazione è stata incompleta e, pertanto, a prescindere dal dolo o dalla colpa degli agenti, il provvedimento finale risulta infine illegittimo per inadeguatezza dell’istruttoria, per manifesta irragionevolezza e per sviamento di potere.
IV. Violazione degli artt. 12 e 17 della legge n. 1168/1961 - Violazione della Circolare del Comando generale dell’Arma n. 18999-20/D-29 del 10.11.1990 - Eccesso di potere per sviamento.
Il Comandante di Compagnia del ricorrente, con la nota del 31 gennaio 2002, aveva proposto la dispensa dal servizio permanente del ricorrente «per scarso rendimento, nonché gravi reiterate mancanze disciplinari che siano state oggetto di consegna di consegna di rigore» [doc. 2].
Successivamente, però, sia la COVA [doc. 3] che il Direttore generale del Personale militare [doc. 1], hanno dato seguito e, rispettivamente, accolto la proposta di destituzione limitatamente alla fattispecie dello «scarso rendimento».
Sennonché, a mente della circolare del Comando Generale dell’Arma n. 18999-20/D-29 del 10 novembre 1990, «l’elemento essenziale» dello “scarso rendimento” rimane lo scadente ed improduttivo modo di operare dell’interessato, dovuto non tanto a mende comportamentali quanto ad «una sostanziale incapacità a fornire un rendimento accettabile». Eventuali mancanze disciplinari o altri elementi negativi possono costituire «fattori complementari» quando le carenti prestazioni siano già configurate da obbiettivi elementi sintomatici di «inettitudine a raggiungere il normale rendimento» [doc. 43].
Nello stesso senso è orientata la giurisprudenza allorché afferma che connota lo scarso rendimento «l’inidoneità del lavoratore allo svolgimento dei compiti affidatigli, per mancanza delle capacità e della preparazione necessarie» (Cass., sez. lav., 20-11-2000, n. 14964); «l’inidoneità a soddisfare con sufficiente regolarità le esigenze di servizio» (T.a.r. Piemonte, sez. II, 21-05-1996, n. 300); «l’inattitudine del dipendente a raggiungere il normale rendimento richiesto dal tipo di mansioni inerenti al suo ufficio» (Cass., sez. lav., 22-11-1996, n. 10286); «l’inidoneità del soggetto a fornire il livello di prestazione e di rendimento richiesti» (C. Stato, sez. V, 11-04-1990, n. 347); o, più semplicemente, «l’inidoneità al servizio» (C. Stato, sez. V, 13-10-1988, n. 560).
Il provvedimento di dispensa per scarso rendimento ha, pertanto, il suo fondamento in fatti che comportino un’oggettiva inidoneità del dipendente a svolgere le mansioni assegnategli, cosicché il suo standard di rendimento non raggiunge i livelli minimi, normalmente richiesti dal servizio svolto.
Quando, invece, i fatti che danno luogo al rendimento insufficiente sono caratterizzati, non da un’obiettiva incapacità del soggetto, bensì da un atteggiamento volutamente contrario ai propri doveri di pubblico dipendente, e come tali siano stati al dipendente contestati, sussiste una semplice infrazione disciplinare, come tale sanzionabile attraverso i provvedimenti a tal fine specificamente predisposti dalla vigente normativa e la cui adozione è subordinata al rispetto del diverso procedimento disciplinare (T.a.r. Sardegna, 17-12-1985, n. 687).
Nel caso di specie, oggettivamente, non possono essere poste in dubbio né le capacità del ricorrente né, più in generale, la sua idoneità o attitudine a svolgere il servizio demandatogli.
In ogni caso, l’amministrazione non ha mai posto a fondamento della procedura destitutiva «l’inidoneità al servizio» del graduato.
Anzi, la stessa proposta di destituzione, a pagina 4, riconosce invece le «documentate qualità globali» e la «preparazione professionale» di questi [doc. 2].
L’amministrazione ha, piuttosto, inteso sanzionare l’asserita mancata accettazione da parte del ricorrente della «peculiarità della posizione del cittadino militare, che si caratterizza fra l’altro per la stretta sottoposizione al rapporto gerarchico ad alla disciplina militare».
Ciò significa che il provvedimento di dispensa odiernamente impugnato è stato emanato in assenza dei presupposti per esso previsti dalla legge ed è, pertanto, illegittimo.
Al fine di sanzionare non lo scarso rendimento, ma la mancata accettazione da parte del Mattioli del suo status di militare, l’amministrazione avrebbe piuttosto dovuto azionare il diverso procedimento di dispensa per «perdita del grado», disciplinato dall’art. 12, secondo comma, lettera f), della legge n. 1169/1961 e dalla legge n. 599/1954.
Difatti, la rimozione per perdita del grado è disposta «per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari» (art. 60, comma I, num. 6, L. 31 luglio 1954, n. 599) e col giuramento il militare si impegna ad essere fedele alla Repubblica italiana, ad osservarne la Costituzione e le leggi e ad adempiere con disciplina ed onore tutti i doveri del suo stato (art.2, L. 11 luglio 1978, n. 382).
Il procedimento odiernamente impugnato, pertanto, persegue un interesse pubblico diverso da quello indicato dal legislatore onde nel caso di specie si è verificato uno sviamento del potere dalla sua funzione tipica.
La difficoltà dell’amministrazione procedente di postulare un’obiettiva incapacità del graduato si desume, ancora una volta, dalla lettura della proposta destitutiva.
A pagina 3, infatti, l’autorità proponente elenca «le sanzioni che più sono attinenti a mancanze relative al servizio» [doc. 2]. Esse sono cinque ed a passarle in rassegna ci si avvede della pretestuosità del procedimento impugnato:
· Rimprovero, per avere il Mattioli omesso di informare il proprio Comando di evento in cui era stato coinvolto fuori dal servizio, per il quale aveva sporto servizio presso altro organo di Polizia (come detto in narrativa, invece, il Mattioli aveva dapprima chiesto l’intervento dei Carabinieri, ma questo era stato negato. In ogni caso, trattasi di evento accaduto al di fuori dello svolgimento di servizio);
· Consegna di sette giorni, per avere inoltrato un’istanza direttamente ad un superiore senza seguire i vari gradi della scala gerarchica;
· Rimprovero, per essersi presentato «in maniera poco reattiva e con l’uniforme in disordine» in occasione dell’ispezione al reparto del Comandante di Compagnia (più semplicemente, il Mattioli aveva omesso di indossare i guanti della divisa);
· Consegna di rigore di tre giorni, per aver inoltrato denuncia all’autorità giudiziaria senza informare il superiore diretto (è vero, invece, come riferito in fatto, che il Mattioli aveva inutilmente sollecitato un intervento della scala gerarchica sulla questione delle schedature dell’Arma dei carabinieri);
· Consegna di cinque giorni per avere indirizzato verso il vicino ufficio della Polizia di Stato un cittadino presentatosi per riferire notizie su una rapina (come già detto, l’autorità giudiziaria aveva delegato a quell’ufficio le relative indagini ed il Mattioli ivi indirizzato il cittadino).
E’ evidente come questi cinque episodi, peraltro verificatisi in uno spazio temporale di cinque anni, non siano idonei a suffragare l’asserito “scarso rendimento” del ricorrente e, quindi, la sua oggettiva inidoneità a prestare il servizio demandatogli.
Nemmeno, come detto, possono porsi a sostegno della destituzione del ricorrente i documenti caratteristici riferiti agli anni dal 1996 in poi.
Tali documenti, segnatamente quelli recanti la qualifica finale di “insufficiente”, sono viziati in radice dalla circostanza per cui il ricorrente non è stato impiegato nell’incarico ivi indicato.
Si è gia detto in narrativa che, a seguito di diffida del graduato, il Comandante provinciale di Arezzo, con nota n. 172/9 del 12 febbraio 2001, aveva infine riconosciuto che il Mattioli «non è stato impegnato nelle attività d'ufficio», pur avendo egli l’incarico di autista e di “addetto al Nucleo Comando della Compagnia” [doc. 36].
Desta perplessità il fatto che pur essendo destinato ad attività d’ufficio e potendo vantare una capacità professionale supportata da una documentazione caratteristica che, nel corso dei primi 17 anni aveva registrato giudizi positivi, il comandante di compagnia non solo non ha utilizzato il ricorrente in tale settore, ma non lo ha neppure messo alla prova, così come si deduce dalla citata lettera del comando provinciale.
Anche le mansioni di autista sono state marginali rispetto a quelle di militare di servizio alla caserma, come risulta dai memoriali del servizio. A titolo di esempio, solo per il periodo considerato nella specchio valutativo n. 38, compilato per il periodo ottobre 1999 - ottobre 2000, su circa 314 giorni lavorativi effettivi, escludendo festività e licenze, il Mattioli ha lavorato, contrariamente a quanto previsto dal suo incarico, per circa 186 giorni come piantone, per un totale, fra l’altro, di circa 350 ore notturne.
Nello stesso periodo nessuno dei suoi pari grado presenti nell’Ufficio (Appuntati Scelti Ripari, Caratelli e Leomporra) ha totalizzato un numero di giorni lavorativi e di ore notturne così elevato, neanche considerando i citati graduati tutti insieme.
Il ricorrente non è mai stato impiegato come addetto al Nucleo Comando (ufficio) e, quindi, per mansioni burocratiche, neppure per sostituire l’Appuntato Scelto Caratelli, quando questi è stato ammesso alla frequenza di un corso di lingua straniera, fuori sede.
Anzi, più volte, lo scrivente è stato invitato a non sostare nei locali riservati agli uffici della Compagnia, sebbene quelli fossero la sede naturale dello svolgimento del servizio oggetto delle valutazioni caratteristiche.
Il Comando ha utilizzato lo scrivente per incombenze diverse da quelle che erano previste dal suo incarico per poi valutarlo in base a parametri inesistenti non avendo questi mai lavorato in ufficio, nemmeno per battere una lettera.
Anche i compiti di autista erano comunque riferiti a periodi limitatissimi, dovendo invece espletare i turni di piantone, con un numero di ore notturne elevatissimo che i suoi stessi colleghi dell’ufficio, più giovani di età e di servizio, sono stati esentati dal fare.
Su tali argomenti, dettagliatamente indicati nelle due memorie scritte prodotte agli atti del procedimento destitutivo, il ricorrente ha invano chiesto che si pronunciasse l’amministrazione.
La verità è che il provvedimento impugnato è stato più realisticamente mosso dalla volontà di sanzionare le numerose denuncie lanciate dall’Appuntato Mattioli ed i rapporti a tal fine tenuti con la stampa nazionale.
Solo per fare qualche esempio, nel corso della sua carriera il Mattioli ha denunciato varie illegittimità commesse negli uffici in cui ha prestato servizio; ha sollevato il velo sulla illegittima prassi dell’Arma dei carabinieri di schedare (anche con riferimento ai dati c.d. sensibili) 90 milioni tra persone fisiche e giuridiche; ha indotto l’allora Ministro dell’Interno Scajola alla pubblica ammissione di aver dato il preventivo ordine di sparare durante il G8 a Genova; ha denunciato gli abusi generalizzati dei reparti territoriali dove alcuni colleghi (poi arrestati), allo scopo di ottenere il compiacimento dei propri comandanti, operavano arresti illegali, talvolta nascondendo droga in oggetti di proprietà dei fermati.
Per tutta risposta, l’amministrazione ha inflitto al ricorrente (che ne era andato esente per i primi 17 anni di carriera) ben 13 sanzioni disciplinari, delle quali 9 di consegna di rigore, per complessivi 12 giorni di consegna e 74 giorni di consegna di rigore.
Si sottolinea che ben 7 delle 9 consegne di rigore sono state riportate per avere il Mattioli fatto pubblicare propri interventi sulla stampa nazionale. Ciò, in virtù di una errata interpretazione dell’art. 9 della legge n. 382/1978 che ben consente ai militari di pubblicare liberamente loro scritti, di tenere pubbliche conferenze e, comunque, di manifestare pubblicamente il proprio pensiero senza necessità di autorizzazione, «salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio».
Sempre a seguito delle denunce fatte, il Mattioli è stato reiteratamente deferito all’autorità giudiziaria (anche solo per aver consumato un caffè in servizio), ma i relativi procedimenti sono stati tutti archiviati.
Infine, egli è stato più volte trasferito con motivazioni poco chiare e generiche quali quelle della pretesa incompatibilità ambientale.
Dal quadro di insieme ora delineato si trae un reiterato esercizio delle potestà amministrative per fini diversi da quelli indicati dal legislatore.
Risulta, cioè, che la dispensa dal servizio per scarso rendimento è stata piuttosto azionata allo scopo di punire il ricorrente e di estrometterlo definitivamente dai ranghi dell’Arma.
Ciò ha determinato uno sviamento della funzione tipica del procedimento e, pertanto, la sua illegittimità per eccesso di potere.
V. Violazione degli artt. 3, 24, 53 e 97 della Costituzione - Eccesso di potere con contrarietà con precedenti atti dell’amministrazione.
L’Appuntato scelto Mattioli è stato sottoposto al procedimento di destituzione odiernamente impugnato senza potersi fare assistere da un proprio difensore e tale circostanza ha inciso negativamente sul suo diritto di difesa procedimentale.
Effettivamente, nella legge 31 luglio 1954, n. 599 (applicabile anche ai volontari di truppa in servizio permanente giusta l’art. 30, comma 2, D.Lgs. n. 196/1995), si riscontra una ingiustificata disparità di trattamento tra il militare che cessa dal servizio per «scarso rendimento» ex art. art. 26, comma I, lett. c) e quello che cessa per «perdita del grado» ex art. art. 26, comma I, lett. g).
La perdita del grado per rimozione, infatti, è stabilita a seguito di un procedimento molto più garantito rispetto al primo pur determinando, di fatto, lo stesso effetto cioè la cessazione dal servizio permanente.
In particolare, per quanto è qui in discussione, l’art. 73 della legge n. 599/1954 prevede che l’interessato «può farsi assistere da un ufficiale difensore, da lui scelto o designato dal presidente della Commissione di disciplina. L'ufficiale designato dal presidente non può rifiutarsi».
Se l’identica norma fosse stata prevista per il procedimento applicato al ricorrente, questi avrebbe potuto farsi difendere da un militare o, comunque, il Presidente avrebbe dovuto nominargli un difensore d’ufficio.
Tale garanzia, del resto, è prevista dall’art. 15, comma II, legge 11 luglio 1978, n. 382 (norme di principio sulla disciplina militare), pure per il caso in cui sia inflitta la consegna di rigore. Eppure, tale sanzione non produce, sotto il profilo del rapporto di servizio, gli effetti risolutori tipici del provvedimento impugnato.
Peraltro, l’assistenza di un difensore di fiducia viene ammessa solo per una consolidata prassi amministrativa. Prassi che, però, non è stata applicata in favore del ricorrente che è stato sottoposto al procedimento di destituzione senza potersi avvalere della necessaria assistenza tecnica.
Allora, emerge chiaramente l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, L. 31 luglio 1954, n. 599, in riferimento agli artt. 3, , 24, 53, comma III, e 97 della Costitizione nella parte in cui non prevede che il militare possa farsi assistere da un difensore di fiducia o d’ufficio e nella parte in cui non prevede l’obbligatorietà del mandato del difensore d’ufficio eventualmente nominato.
Viola, infatti, l’art. 3 della Costituzione, ed è irragionevole la disparità di trattamento tra il militare che cessa dal servizio permanente per scarso rendimento e quello che cessa per perdita del grado.
I due provvedimenti producono lo stesso effetto, solo che la rimozione per perdita del grado è disposta «per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari» (art. 60, comma I, num. 6, L. 31 luglio 1954, n. 599).
Ciò premesso, la diversità di disciplina dei due procedimenti è irragionevole e si presta ad abusi da parte dell’amministrazione militare. Questa, infatti, per perseguire il medesimo risultato, può discrezionalmente scegliere tra azionare due procedimenti diversamente garantiti. E, nel caso del ricorrente, l’amministrazione ha senz’altro optato per il procedimento che offre minori garanzie per il destinatario.
L’art. 33 in esame è illegittimo anche in riferimento all’art. 52, comma III, Cost.. Se è vero che l'ordinamento militare presenta aspetti peculiari, e differenziati, è altrettanto vero che le disposizioni meno favorevoli, incidenti sul rapporto di servizio del dipendente militare, debbono trovare una ragionevole giustificazione e, comunque, un limite nell'esigenza di salvaguardia dei preminenti interessi dell'apparato militare.
Orbene, il diniego di assistenza tecnica al dipendente militare nell’ambito del procedimento in esame non pare finalizzato ad alcuna esigenza di salvaguardia dell'ordinamento militare, con la conseguenza di rendere ingiustamente discriminatorio, e deteriore, il trattamento del ricorrente rispetto a quello, ben più favorevole, previsto per il sottufficiale cessato per perdita del grado.
Il distinto, ma affine procedimento di dispensa per perdita del grado si presenta maggiormente garantito anche sotto un altro profilo.
Per esso, infatti, l’art. 71 della legge n. 599/1954 prevede che il militare sottoposto alla Commissione di disciplina possa ricusare per una sola volta un componente della Commissione. La ricusazione non deve essere motivata ed il componente indicato è sostituito.
Irragionevolmente, per il procedimento applicato al ricorrente non è prevista una analoga facoltà dell’interessato, onde, come si è visto, l’Appuntato scelto Mattioli non ha potuto ricusare il Presidente della COVA Generale Fenu, incompatibile per aver già partecipato al procedimento quale autorità proponente.
Su tale disparità di disciplina, si ribadiscono le sopraesposte censure di legittimità costituzionale.
Istanza incidentale di sospensiva
Il fumus boni iuris si tare dai motivi di impugnazione ora esposti.
Il danno grave, irreparabile e non più risarcibile deriva dalla perdita del posto di lavoro da parte del ricorrente e dalla privazione immediata della retribuzione necessaria per il suo sostentamento.
L’istante non ha altro reddito ed è mero locatario della casa di abitazione per la quale corrisponde un canone mensile di euro.....
Il mantenimento dell’efficacia della dispensa dal servizio, pertanto, determinerebbe l’impossibilità per l’Appuntato scelto Mattioli di far fronte alle spese necessarie al proprio sostentamento.
Voglia, allora, l’Ecc.mo Tribunale adito sospendere cautelarmente i provvedimenti impugnati ed ordinare la temporanea riammissione in servizio del ricorrente.

P. Q. M.
e con esplicita riserva di più ampiamente argomentare e dedurre, il ricorrente conclude perché l'Ecc.mo Tribunale adito voglia accogliere il presente gravame e, per l’effetto, annullare i provvedimenti impugnati.
Con ogni conseguente pronuncia in ordine alle spese.
Il presente ricorso, inerendo alla materia del pubblico impiego, va esente dal contributo unificato per le spese giudiziarie.
Roma, 15 luglio 2002
Avv. Giorgio Carta
Avv. Giovanni Carta

Ad istanza degli avv.ti Giovanni Carta e Giorgio Carta, io sott. Aiut. Uff. giud. ho notificato il suesteso atto al
- MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore, etc.etc.