martedì 11 ottobre 2011

Fuga dal cimitEuro


Fuga dal cimitEuro
di Marco Della Luna - 10/10/2011

Fonte: Marco della Luna blog 

  
   Riusciranno gli italiani a fuggire dal cimit€uro in cui li stanno deportando le illuminate Autorità Monetarie Europee? Questo scritto delinea un piano pro-popolo per il dopo-collasso, basato sull’auto-organizzazione dei cittadini e dei comuni. In questo si differenzia dai piani anticrisi correnti, che invece intendono prevenire il collasso e si basano sul presupposto che la classe politica abbia la volontà e la capacità di agire per l’interesse collettivo e non solo in una logica di casta. Se ciò non avverrà – e in Italia per ora non sta avvenendo e non è mai avvenuto, perché la casta ha interessi strutturalmente opposti alla collettività – la crisi si aggraverà e il paese andrà in default, uscirà dall’Euro, e collasserà disastrosamente. Finirà al cimit€uro e dovrà ricostruirsi, in un contesto globale di recessione.

La gente dovrà lottare con condizioni esistenziali molto difficili. E in questa prospettiva di collasso praticamente inevitabile, è preferibile lasciare le risorse in mano ai cittadini, per fronteggiare l’emergenza, piuttosto che affidarne ancora di più alla gestione dei politici e delle banche. Quindi non stiamo a pensare ad ulteriori tasse e trasferimenti dalla popolazione civile a chi l’ha ridotta in questa sitazione. 

Ho abbozzato il piano qui esposto per la preparazione a una tale evenienza. Non che io mi opponga di principio ai piani di risanamento – anzi, ho avanzato anch’io diverse proposte, e sostengo quelle altrui che trovo sensate. Ma, realisticamente, non credo abbiano molte chances, amenoché si tolga di mezzo la casta. Infatti, anche il piano Monorchio-Salerno Aletta si è molto impegnato in tal senso, introducendo accorgimenti “tagliacasta”, per usare un loro neologismo.

Un sistema-paese con un basso capitale organizzativo e una bassa produttività ha bisogno di ricorrere alla svalutazione competitiva per mantenersi economicamente vitale. Era così che il sistema-paese italiano funzionava. Si credeva o si dava da credere che, imponendole vincoli di bilancio e impedendole di fare svalutazione competitiva e di sussidiare le imprese pubbliche e private, la inetta e corrotta dirigenza italiana sarebbe forzatamente, e per mancanza di scappatoie, divenuta virtuosa e l’Italia si sarebbe europeizzata. Non è andata così. La spesa-furto e la spesa-spreco, che peraltro convergono, sono continuate e cresciute, perché sono quelle che mantengono e arricchiscono la partitocrazia anche se amministra male. La partitocrazia ha per contro tagliato le spese che le rendono meno, ossia quelle per infrastrutture, ricerca, capitale umano, e ha aumentato quelle che le rendono di più, accrescendo costantemente la pressione fiscale. Il paese ha così perso competitività, industrie, posti di lavoro, ed è in recessione strutturale. Sta meno in Europa oggi di quando ci entrò. Le prospettive sono di peggioramento. A restare nell’Euro non ce la si può fare. Il paese, col suo sottostante di casta o partitocrazia trasversalmente ladra e incapace, procede nello sfacelo verso il collasso. Non vi sono più iniziative e progetti costruttivi, ma solo azioni di tutela di posizioni partigiane. Nessuno più investe sul futuro. Nessuno ci crede, in fondo. Il recente, triplo downrating con outlook negativo riguarda il debito a medio e lungo termine. Ossia prevede – semplicemente – che continuerà a mancare ogni capacità di correzione, riforma e rilancio, come manca da vent’anni. E che di qui a tre o cinque anni le cose, dunque, saranno peggiorate, ammesso che il sistema non crolli prima. Crisi di governo o dimissioni di questo o di quello non varrebbero a niente perché non cambierebbero niente perché non è disponibile una dirigenza di qualità diversa da quelle che hanno già rubato e disastrato. Non si è mai potuta formare e non si formerà in un anno e nemmeno in cinque. Salvo miracoli, il paese andrà presto in default o direttamente fuori dall’Euro o in un Euro “b” con altri Pigs (Pigs, non Piigs, perché l’Irlanda si salva con un suo piano sottaciuto dai mass media). Ciò è inevitabile. Non può essere cambiato. Ciò che può essere cambiato, invece, è come il paese e la gente arriveranno a quel passaggio e come lo attraverseranno, con che risorse e che attrezzatura. E se saranno organizzati per affrontarlo, oppure no. 

Col pretesto di prevenire il collasso, i progetti pro-casta vorrebbero raschiare il raschiabile con le tasse, patrimoniali e non, come se coloro che hanno creato un buco di 1.900 miliardi nonostante le tasse al 49% lo ridurrebbero se gli dessimo altre tasse. Mentre è chiaro che quanto peggio vanno le cose, tanto meno dei soldi che paghiamo in tasse viene usato per l’interesse collettivo. Altri vorrebbero cedere il cedibile al capitale tedesco in cambio di restare nell’Euro e godere ancora dei “benefici” di tale posizione, seppur pagandoli a caro prezzo, ossia con ciò che ci resta, e che verrebbe comprato con denaro contabile prodotto a costo zero da finanzieri privati, soci dei soci della BCE. 

Tali proposte pseudo-ingenue evitano di considerare le cause dell’enorme debito pubblico e del pari deficit infrastrutturale, ossia che la partitocrazia, tutta, è ladra e incompetente, e che, ciononostante, la popolazione la conferma al potere: è questa la radice del male italiano. Se teniamo conto delle cause, riscontrabili nell’evidenza empirica di come potere e risorse pubbliche sono stati gestiti, è ovvio che non faremo progetti presupponenti una dirigenza nazionale onesta e capace. Se l’azienda cooperativa sta per fallire perché i gestori l’hanno derubata e sgovernata, non penseremo certo di salvarla costringendo i soci ad affidare a quei medesimi gestori i loro risparmi per risanarla. Fossimo matti!

Per il caso che non si riesca presto a istituire un tagliacasta reale e realmente efficace, dovremo al contrario fare progetti che considerino che alla società civile dalla politica, dallo stato, non verrà aiuto o buona amministrazione, ma sforzo per sottrarre al paese, alla società civile, ciò che al paese può ancora essere tolto. Dovremo progettare di difenderci dalla partitocrazia e dai suoi strumenti, le istituzioni che essa controlla, consapevoli che quanto più grave si fa la situazione, tanto più irresponsabile, distruttiva, stile mordi-e-fuggi, sarà la sua gestione del potere. E dovremo accettare la probabilità che la gente, le persone concrete, presto dovranno affrontare prove durissime. Quindi ci impegneremo affinché la partitocrazia non metta le mani su altri beni e soldi pubblici o privati, e affinché non li possa vendere, impoverendo il paese nel mangiarci sopra. Ci chiederemo inoltre come e chi possa aiutare la gente ad attrezzarsi per tali prove 

La pubblica amministrazione, in frangenti come l’attuale, dovrebbe innanzitutto elaborare ed attuare piani per garantire alla gente il necessario per sopravvivere a livello familiare e di comunità locali, prevenendo lo sviluppo di un mercato nero. Bisogna, e si può, prevedere quali beni essenziali scarseggerebbero per primi. E’ folle e scellerato che non si facciano queste semplici cose. Che si vada versa l’emergenza senza un piano per sopravvivere ad essa. 

Attrezzarsi significa assicurarsi, o dotarsi dell’indispensabile: cibo, acqua, vestiario, energia riscaldamento, medicine, trasporti, poste, scuola, sicurezza dai malfattori. Significa organizzarsi per l’eventualità che vengano meno le importazioni e la distribuzione dei beni primari. Significa farsi autosufficienti localmente nell’essenziale, compresa la sicurezza. Non è ovviamente certo che tali scenari di emergenza si avverino, ma è ragionevolmente probabile; sicché è ragionevole prepararsi.

Province, regioni, e soprattutto i comuni, i quali sono in diretto rapporto con la gente e sono più dissociabili dalla politica nazionale, dovrebbero studiare piani per assicurare queste cose fondamentali ai loro cittadini, e ancor prima dovrebbero preavvisarli. Dovrebbero fare scorte e collocarle in depositi comunali. Dovrebbero distribuire pannelli solari e altri dispositivi per generare elettricità localmente. Dovrebbero promuovere consorzi di produzione e consumo locali utilizzanti monete alternative locali (come già da secoli ne esistono nel mondo), e fare in modo che queste abbiano una filiera completa in cui circolare. Dovrebbero massimizzare il potenziale produttivo agroalimentare del territorio, sospendere per stato di necessità le quote latte, agrumi etc., convertire colture foraggere ad alimentazione umana, e riaprire i depositi annonari. E istituire depositi di combustibili e carburanti. E di pezzi di ricambio, senza di cui l’agricoltura si ferma. E guardie popolari per proteggerli. Per far tutto ciò, i comuni si coordinino a livello di ANCI. 

Le monete alternative di emergenza, o Notgelder, si sono dimostrate utilissime per superare tempi di rarefazione monetaria come i presenti e come, ancor più, i tempi prevedibili. Pensiamo a una fase di passaggio in cui non ci sia più disponibilità di Euro e non ci sia ancora una nuova, credibile vecchia lira o altra valuta funzionante. O in cui il sistema bancario collassi e non ci sia più credito o pagamento. O in cui lo stato unitario si sciolga in unità nazionali più omogenee e funzionali, in un Nord, un Sud, e forse anche un Centro. O in una rivoluzione combattuta, con uno o più fronti interni. O in cui il peggio sia evitato da un duro commissariamento-protettorato UE-BCE-FMI, con depressione di imprevedibile durata (e quest’ultimo è lo scenario più probabile, perché la crescente percezione dello strutturale conflitto di interesse tra partiti e popolazione, e dell’assenza di una rappresentanza democratica, ha oramai creato un’instabilità colmabile o da una presa in carico europea dello stato italiano, se si esclude una improbabile rivoluzione, con o senza secessione). La moneta alternativa locale sostiene l’economia locale e gli investimenti delle comunità. Inoltre rende le comunità locali ampiamente autosufficienti, non ricattabili e depredabili, con mezzi finanziari, del loro lavoro, del loro prodotto, dei loro cespiti. Per tali ragioni, essa è stata storicamente avversata dal sistema bancario-creditizio, che tende a rendere la società dipendente da se stesso. Esempio di tali monete è lo svizzero Wir, che ha persino un sistema bancario proprio. In Italia già abbiamo, in fase embrionale, alcune monete complementari, come lo Scec, il Toc, i Dané; però ancora non c’è la spinta ad usarle, che può venire solo dall’emergenza.

Inoltre, per sopperire al degrado e definanziamento del servizio sanitario nazionale, e alla necessità di pagare sempre più tickets e prestazioni in privato, è opportuno attivare l’istituto giuridico delle Società di Mutuo Soccorso, introdotto con una legge del 1886, e che consente di fornire il massimo delle prestazioni col minimo dei costi, nonché di scegliere dove curarsi. Almeno una società di tale tipo è già stata costituita e opera con grande successo; infatti offre assistenza diretta, con diaria e pensioni di invalidità, per somme pari a una frazione delle corrispondenti polizze assicurative. Inoltre copre fino a 75 anni e chi aderisce, divenendo socio, non può essere escluso in caso di sinistro. Considerato che la sanità è l’80% della spesa pubblica regionale, le società di mutuo soccorso sono una possibile via di salvezza per mantenere o recuperare un discreto livello di assistenza nonostante il dissesto delle finanze pubbliche. 

Ognuno vada quindi alla sua amministrazione comunale e scriva all’ANCI, e le solleciti a preparare piani pratici per gli scenari post-collasso, di sopravvivenza e ordine pubblico, autodifesa, inclusa la partecipazione a monete locali popolari e a società di mutuo soccorso. L’autodifesa locale non va tralasciata, perché non si può escludere che, in uno scenario di scarsità di beni e di latitanza delle forze dell’ordine, soprattutto in certe aree del paese si costituiscano bande di razziatori, di sciacallaggio, di pretese esattoriali da parte di frazioni della partitocrazia esasperata, data l’alta presenza di criminalità organizzata, legata alla politica, e di gruppi criminali di determinate etnie di immigrati, che approfitterebbero dello scompiglio generale. Non sappiamo come si comporteranno i vari reparti dei corpi armati dello stato, né quelli delle 136 basi USA e NATO, ma è da attendersi che il potere costituito cercherà di assicurarsi introiti con ogni mezzo e senza alcun riguardo per la popolazione. 

L’aspettativa buona, in questo scenario, è che il sistema di potere attuale crolli per mancanza dei suoi mezzi di auto-perpetuazione mediante acquisizione del consenso clientelare, e che si possa costruire un ordinamento diverso, più razionale e lungimirante, più vitale. Perché un sistema paese efficiente potrà sorgere solo da un crollo abbastanza radicale da porre veramente fine al meccanismo sociologico per il quale la partitocrazia incapace e ladra viene confermata e obbedita dalla popolazione nonostante che questa da anni veda che essa la sta portando al disastro. Il crollo deve riuscire, quindi, ad azzerare le strutture mediante cui quella partitocrazia governa e si procura consenso e compliance sociale, e insieme a disciogliere la inveterata mentalità e gli schemi finora vigenti degli italiani in materia di rapporto con la politica. 

Ancora non siamo a questo punto, e molti validi esperti, assai più fiduciosi di me, si stanno spendendo per portare avanti piani miranti ad uscire dalla crisi senza sbattere contro il fondo, ma il processo di sfaldamento delle istituzioni e di collasso funzionale della pubblica amministrazione, di crescita dei disservizi nonché di delegittimazione radicale della classe politica, sta accelerando in tutti i comparti, dalla sanità alla scuola, dalla polizia alla tutela del territorio, per non parlare dei lavori pubblici. In questa accelerazione è sospinto dagli eventi internazionali e aiutato dai colpi di gnocca al cervello di qualcuno, e dai colpi di coca al cervello di molti altri. 

Se i progetti di risanamento non partono e non hanno successo entro l’inverno prossimo, allora nel 2012 secondo me, ed entro il 2014 secondo altri, il quadro dovrebbe saltare. Nel frattempo, sarebbe bene impedire che la partitocrazia si prenda sia le risorse pubbliche che quelle private, perché le userebbe solo per protrarre di qualche altro mese il suo dominio, ai danni della gente e trasferirne quanto possibile in paradisi fiscali. Meno soldi avrà da spendere, prima dovrà cedere, e più ne rimarranno nelle tasche dei cittadini per affrontare l’emergenza. Occorre quindi lanciare raccolte di firme tra i cittadini, per dichiarare che il popolo sovrano non riconosce e non riconoscerà mai le cessioni, avvenute o a venire, agli stranieri di assets strategici italiani, includendo banche, energia, informazioni, alimentazione, trasporti, sanità, acqua e materie prime. E che riterrà personalmente e illimitatamente responsabili tutti coloro che vi parteciperanno. 

Parallelamente, gruppi di imprenditori, tecnici, professionisti, investitori si potranno organizzare per trattare con le autorità centrali e locali di paesi più efficienti e con un migliore trend allo scopo di ottenere condizioni favorevoli, in termini di sgravi, di sovvenzioni, di servizi, per trasferirsi e impiantarsi colà, aprendosi a una nuova vita..

Vogliono i soldi. I tuoi


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Vogliono i soldi. I tuoi
Da un po' ci pensavo, ma mi accusavo da sola di complottismo esagerato. Ora leggo l'intervista a Ennio Doris su Il Tempo (orrore, lo so) e devo ricredermi.
Non sottovalutate le parole di uno come Doris. Spesso, e l'ho verificato svariate volte, quelli considerati più "fessi" sono poi coloro che spiattellano ingenuamente le più scottanti verità. E Doris sta dicendo in sintesi che sì, lo Stato italiano ha un debito stellare, i rating crollano, l'economia boccheggia ma ragazzi, voialtri avete un sacco di quattrini in tasca. E la finanza internazionale lo sa.
Lo sa e li vuole. Ciascuno di noi ha qualcosa: che sia una casa, o dei risparmi in banca, o un po' di BOT, o i versamenti per la pensione integrativa, un gruzzoletto di un'assicurazione, un quinto del terreno di nonna al paese. E se non l'abbiamo noi, ce l'ha papà, o mammà, o la famiglia. Sono davvero pochissimi gli italiani nullatenenti per tre generazioni.
La ricchezza insomma è diffusa. In questo siamo secondi solo all'Australia nel mondo ricorda Doris. Tale ghiotto bottino non potrà in alcun modo rimanere nelle nostre tasche: dovremo cacciare il grano, volenti o nolenti.
Si farà con nuove tasse, con nuovi balzelli, ma si userà anche lo strumento principe: Equitalia. Non crediate di essere immuni perché siete oh tanto ligi e solerti e pagate le multe. Salterà fuori qualche multa già pagata che tornerà rinnovata e decuplicata, salterà fuori un errorino di 3 euro sulla dichiarazione dei redditi del 1938, salterà fuori una mora per la tassa sulla monnezza pagata con tre minuti di ritardo vent'anni fa. Centinaia e centinaia di euro, migliaia persino se le cose si incastrano nel modo giusto. Case e automobili pignorate, conti correnti bloccati, pagheremo caro e pagheremo tutto, pagheremo il pizzo per salvare le case. L'Italia sarà spogliata, e più che altro saranno spogliati gli italiani.
Quando questa faccenda finirà, ci avranno tolto tutto o quasi. Viene quasi la voglia di vendersi casa e sputtanarsi tutto al centro commerciale, altro che vita frugale, risparmiosa e sostenibile. Almeno ce li saremo goduti noi.

Parmalat: Geronzi e Cragnotti a giudizio per bancarotta


Parmalat: Geronzi* e Cragnotti a giudizio per bancarotta e estorsione -2-

IlSole24Ore, LUNEDI' 10 OTTOBRE 2011


Pm: estorsione a Tanzi per Eurolat, a Geronzi 3 mld lire (Il Sole 24 Ore Radiocor) - Roma, 10 ott - Il rinvio a giudizio di Cragnotti, Geronzi e  si riferisce a una costola del processo Parmalat inviato per competenza territoriale dai Pm di Parma a quelli di Roma. Si tratta della presunta estorsione ai danni dell'ex numero uno di Collecchio, , relativa alla cessione del ramo latte di Cirio, Eurolat, a Parmalat, avvenuta nel 1998. Secondo l'accusa, Geronzi, Cragnotti e Bianchini Riccardi avrebbero esercitato pressioni indebite su Cragnotti perche' acquistasse Eurolat a un prezzo , entro un certo termine e alle condizioni da loro dettate, pena il ritiro dei finanziamenti al  da parte della . All'udienza preliminare i Pm di Roma avevano chiesto il proscioglimento degli indagati ritenendo che l'accusa fosse gia' inglobata nel processo parmense per la bancarotta di Parmalat, ma il Gup, che non aveva condiviso tale impostazione, aveva sollevato conflitto di competenza in Cassazione tra Roma e Parma. La  aveva assegnato il fascicolo ai Pm della Capitale che quindi sono andati avanti con le indagini. Oggi il , Nello Rossi, e il Pm Filippi hanno chiesto al Gup Picazio il rinvio a giudizio per tutti e quattro gli indagati nella vicenda: Geronzi, Cragnotti, Bianchini Riccardi e Gaetani, indagato sono per un episodio. Il Gup ha rinviato a giudizio i primi tre e prosciolto il quarto. Il reato di estorsione aggravata, la cui prescrizione e' fissata dalla legge in 20 anni, si riferisce al fatto che Geronzi, "che agiva - si legge nel provvedimento di rinvio a giudizio - come parte sostanziale della trattativa pur apparendo formalmente solo come 'garante della riservatezza' (pattuendo una commissione di 4,5 miliardi di lire che percepiva in 3 miliardi di lire), Cragnotti, quale a.d. di Cirio, e Bianchini Riccardi", quale componente del Cda di  e consulente della societa' nell'ambito della trattativa con , "si procuravano l'ingiusto profitto derivante dalla corresponsione dalla Parmalat spa di almeno 200 miliardi di lire oltre al valore effettivo della  che venivano utilizzati per il pagamento dei crediti che la Banca di Roma vantava nei confronti delle societa' del ". Dlu (RADIOCOR) 10-10-11 15:14:53 (0202) 5 NNNN


*Cesare Geronzi (Marino15 febbraio 1935) è un banchiere e dirigente d'azienda italiana.

Visualizza altro http://archivio-radiocor.ilsole24ore.com/articolo-984840/parmalat-geronzi-cragnotti/#ixzz1aU6m7ZI0

Imposimato denuncia gli Usa all'Aja


Imposimato denuncia gli Usa all'Aja: "Sapevano dell'11 settembre"

di Raffaele Gambari - affaritaliani.libero.it.
ESCLUSIVO. Il supermagistrato, già presidente della commissione Antimafia, sostiene che nei palazzi erano collocati una serie di ordigni e che l'intelligence americana non avvisò l'Fbi: “In tal modo lasciarono che gli attentati avvenissero eseguiti l’11 settembre 2001”.
Un avvocato italiano, l’ex giudice istruttore Ferdinando Imposimato, sta preparando una denuncia al Tribunale internazionale penale dell’Aja perché, a suo dire, pur sapendo che era in preparazione l’attentato alle Twin Towers la Cia non fece nulla per fermarlo.
Oltretutto, secondo il presidente onorario aggiunto della suprema Corte di Cassazione, che a suo tempo indagò sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, che ora assiste la famiglia come avvocato, titolare dell’inchiesta sull’attentato al papa in piazza San Pietro e già presidente della commissione parlamentare antimafia, le Twin Towers crollarono non soltanto per l’impatto dei due aerei dirottati dai terroristi di Bin Laden.
I periti esperti della Nist, un’agenzia federale di sicurezza degli Usa, che hanno svolto un'indagine sull’attentato, ‘’sanno che in quei due grattacieli erano stati collocati degli ordigni, così come in un terzo palazzo adiacente alle Torri Gemelle, la torre numero 7, che crollò su se stessa, come si vede in alcune riprese televisive, senza che in questa ci fosse un impatto con un aereo, come avvenne nelle altre due”.
L’ipotesi di reato che Imposimato, come rivela il magistrato ad Affaritaliani, ha intenzione di formulare “insieme con altri studiosi ed esperti nell’adire presso la Corte penale internazionale dell’Aja, attraverso il procuratore della Corte stessa, è di concorso nelle stragi che l’11 settembre del 2001 causarono 3.000 morti alle Torri Gemelle più altri decessi nell’attacco al Pentagono”.
Di questa storia di presunte commistioni tra servizi segreti statunitensi e Bin Laden, c’è una vasta letteratura internazionale. Fantapolitica o realtà? Di certo, come ha detto qualche giorno fa Imposimato parlando con alcuni giornalisti a Latina, a margine del quarto convegno nazionale dei giudici scrittori, dell’attentato alle Torri Gemelle se ne é discusso nell’incontro di “Toronto Hearings”, un tribunale internazionale indipendente, una sorta di Tribunale Russel, che si è riunito dall’8 al 12 settembre scorsi a Toronto, in Canada, composto da giudici internazionali, che ha ascoltato 17 testimoni. A quell’incontro Imposimato c’era. Da qui la sua intenzione di ricorrere al Tribunale penale internazionale dell’Aja, lo stesso che ha arrestato e mandato sotto processo per genocidio gli autori dei massacri nella guerra di pulizia etnica in quei paesi sorti in seguito al crollo dell’ex Jugoslavia.
Imposimato, perché intende rivolgersi al Tribunale penale internazionale dell’Aja?
“Perché diversi esponenti di vertice della Cia pur sapendo della presenza di terroristi nel territorio Usa fin dal gennaio 2001 provenienti dall’Arabia Saudita e considerarti come sospetti terroristi e pur sapendo che essi erano arrivati a Los Angeles dal 15 gennaio 2001 per addestrarsi sugli aerei da usare come missili contro edifici americani, non informarono l’Fbi, che è l’unico organismo competente a contrastare il terrorismo in territorio americano, in tal modo lasciando che gli attentati avvenissero eseguiti l’11 settembre 2001”.

Chi porterebbe come imputati e come testimoni in questo processo?
“Chiederò di ascoltare gli scienziati e i testimoni che sono stati sentiti nella Ryarson University di Toronto lo scorso settembre, che hanno dimostrato come nelle cosiddette Torri Gemelle e nella terza torre, la numero 7, siano state inserite dolosamente bombe e ordigni incendiari ed altri elementi idonei ad accelerarne il crollo. Ritengo che non aver impedito il verificarsi dell’attacco da parte di chi aveva il dovere di impedirlo, sia una gravissima colpa”.

Segreti di Stati Cap.19 La truffa delle Banche centrali

(Segreti di Stati - torna all'indice)

Capitolo 19 - La truffa delle Banche centrali

"Oltre a questi obiettivi pragmatici, i poteri del capitalismo finanziario avevano un altro scopo più ampio, nientemeno che di creare un sistema mondiale di controllo finanziario, in mani private, capace di dominare il sistema politico di ciascun paese e l'economia del mondo nel suo insieme. Questo sistema doveva essere controllato in un modo feudalistico da parte delle banche centrali del mondo che agiscono di concerto, attraverso accordi segreti cui si arrivava durante frequenti incontri e conferenze private. L'apice del sistema sarebbe stata la Bank for International Settlements [BIS] di Basilea, in Svizzera, una banca privata di proprietà e sotto il controllo delle banche centrali mondiali, esse stesse corporazioni private. Ogni banca centrale cercava di dominare il proprio governo tramite la sua capacità di controllare i prestiti al Tesoro, di manipolare i tassi di cambio della valuta estera, di influire sul livello delle attività economiche nazionali e di fare pressioni sui politici compiacenti tramite successive ricompense economiche nel mondo degli affari."
In: "Tragedy and Hope - A History of the World in Our Time"", Carroll Quigley, GSG Associates, California 1966.

"I nostri nemici su questo pianeta, sono meno di dodici persone. Sono i membri della Banca d'Inghilterra e di altri più alti circuiti finanziari. Essi posseggono le catene di giornali ed essi sono, come se non bastasse, in tutte le istituzioni che si occupano di salute mentale che sono sorte nel mondo. (...) E questi, apparentemente, hanno deciso in un momento lontano del passato, una particolare strategia. Avendo il controllo della riserva aurifera del pianeta, sono entrati in un programma per portare ogni governo alla bancarotta e sotto al loro dominio, cosicché nessun governo fosse capace di iniziative politiche senza il loro appoggio."
Ron Lafayette Hubbard, ex ufficiale dei servizi segreti della Marina USA, fondatore di Scientology - settembre 1967

Per capire come questo sistema sia profondamente antidemocratico nella sostanza, se non nell'apparenza, occorre analizzare il caso della truffa sistematica effettuata dalle banche centrali. La ricerca di base, su questo speifico argomento, si deve all'operato instancabile del Professor Giacinto Auriti che, da anni, si occupa dell'argomento.

In pratica si tratta di questo: nel 1694, la Banca d'Inghilterra - Bank of England - stampò 11.400 sterline in banconote, addebitandole al popolo e conferendole ai nobili che erano al governo. Da allora, il meccanismo ha avuto emuli in tutto il mondo, fino ad oggi, senza che nessuno, o quasi, si sia accorto dell'inganno. Prendiamo la situazione attuale: la Banca Centrale Europea, la BCE, il cui governatore è Wim Duisemberg, emette gli euro. Ma di chi sono questi euro? Del popolo europeo? No. Degli Stati membri. No. Gli euro sono di proprietà della BCE che li AFFITTA agli stati membri dell'unione. Gli Stati mettono la spesa in bilancio come DEBITO PUBBLICO ed evitano accuratamente di attribuirli ai cittadini, distribuendoli alle banche che fanno parte della banda. I cittadini, se vogliono prenderli alle banche, debbono RIAFFITTARLI dalle stesse, prendendoli a credito, trovandosi così a pagarli TRE VOLTE. La prima volta perché la BCE non ha fatto semplicemente pagare le spese di emissione ma, mantenendo la proprietà delle banconote, le ha affittate come fossero Cosa Sua. La seconda volta perché la burocrazia corrotta, degli Stati, registra nel debito pubblico la spesa relativa all'affitto di un bene che le apparterrebbe di diritto (essendo la BCE una società privata, non si vede come possa essere la proprietaria degli euro, moneta del popolo europeo). La terza volta perché il cittadino, se vuole moneta per effettuare impresa, deve noleggiarla dalle banche - sempreché siano disponibili a farlo nel SUO caso particolare - pagandoci ulteriori interessi. Ma veniamo ai "furbi": chi si è rubato, per l'Italia, un totale di 65.400 miliardi di euro con l'emissione del 1 gennaio 2001? Il socio italiano della BCE: la Banca d'Italia S.p.a. - detta anche Bankitalia. E di chi è questa società privata Banca d'Italia? Di altre società per azioni: Generali Assicurazioni, Gruppo INTESA, etc. E a chi appartengono queste società private? Già, basterebbe saperlo ed avremmo il quadro completo della banda bassotti. Scrive Antonio Pagano [da La grande truffa, http://www.cinet.it/iresco/impresasicilia/articoli/art0076.htm] "...Le ruberie operate e l'emissione non controllata della carta moneta ebbero come conseguenza che ne fu decretato già dal 1863 il corso forzoso, cioè la lira carta non poté più essere cambiata in oro. Da qui incominciò a nascere il Debito Pubblico: lo Stato cioè per finanziarsi iniziò a chiedere carta moneta a una banca privata (qual è la Banca d'Italia). Lo Stato, quindi, a causa del genio di Cavour e soci, ha ceduto da allora la sua sovranità in campo monetario affidandola a dei privati, che non ne hanno alcun titolo (la sovranità per sua natura non è cedibile perché è del popolo e dello Stato che lo rappresenta). Oltretutto da quando nel 1935 fu decretato definitivamente che la lira non era più ancorata all'oro, si ebbe che il valore della carta moneta derivò da allora semplicemente e unicamente dalla convenzione di chi la usa e accetta come mezzo di pagamento. La carta moneta, dunque, è carta straccia e in realtà alla Banca d'Italia (che è privata), a cui si dovrebbe pagare il debito pubblico, non si deve dare nulla. Ed è necessario, infine, ricordare che ancora oggi le quote dell'attuale Banca d'Italia sono possedute da varie Casse di Risparmio, da Banche e da Assicurazioni, cioè enti privati su cui la Banca d'Italia dovrebbe vigilare. Da tutto questo potete facilmente capire in mano a chi siamo e che, dato che la Banca d'Italia ha un immenso potere finanziario e politico, qualsiasi governo in Italia conta come il due di briscola." Ecco come funzionava il sistema, al tempo della lira. Oggi, con la BCE, il sistema si è europeizzato. La Banca d'Italia S.p.a. ha derubato ogni cittadino italiano, con la sola emissione del 1 gennaio 2001, di 1.150 euro. Sembrano pochi: provate a prenderveli tutti in una volta!

LA DENUNCIA

TRIBUNALE CIVILE DI ROMA

Atto di citazione
Il Prof. Giacinto Auriti, residente in Roma ed ivi eletto domicilio alla Via A. Traversari n.55 presso e nello studio dell'Avv. Giuseppe Marzano dal quale e' rappresentato e difeso, disgiuntamente e congiuntamente all'Avv. Berardino Ciucci e al Dott. Proc. Antonio Pimpini, giusta procura in calce al presente atto.

premesso
-che l'istante agisce in proprio quale cittadino italiano, e quale legale rappresentante dell'Associazione Culturale "Alternativa Sociale per la proprietà di Popolo" (ASSPP); -che, allo stato attuale, esiste una consuetudine interpretativa per cui, all'atto dell'emissione, la banca centrale mutua allo Stato italiano ed alla Collettività Nazionale, tutto il denaro che pone in circolazione;
-che a seguito di recenti ricerche scientifiche (cfr. Auriti Giacinto- L'Ordinamento Internazionale del Sistema Monetario- Edigrafital Teramo, 1993) è stato dimostrato che la moneta ha valore perché è misura del valore.

-che, infatti, ogni unita di misura ha la qualità corrispondente a ciò che deve misurare: come il metro ha la qualità della lunghezza perché misura la lunghezza, la moneta ha la qualità del valore perché misura il valore.

-che, pertanto, l'attività convenzionale e qui produttiva non solamente della misura del valore, ma anche del valore della misura: ciò che noi chiamiamo potere d'acquisto. Nella moneta si verifica un fenomeno analogo a quello dell'induzione fisica. Come nella dinamo l'energia meccanica causa l'energia elettrica, così nella moneta la convenzione causa il valore indotto nel simbolo. Pertanto, il simbolo non è solamente la manifestazione formale della convenzione monetaria, ma anche il contenitore del valore indotto.

-che, quindi, la moneta è un bene collettivo, in quanto creato dalla convenzione sociale, ma di proprietà privata individuale perché da intendersi attribuita, a titolo originario, al portatore del simbolo in virtù dell'induzione giuridica;

-che fino ad oggi l'erogazione della moneta e' effettuata dalla banca centrale addebitando allo Stato ed alla Collettività l'intero ammontare senza corrispettivo e quindi conferendo solo la proprietà a titolo derivativo per il tempo limitato alla durata del prestito;

-che tale consuetudine interpretativa è da considerarsi contra legem, in quanto la fattispecie giuridica monetaria va necessarimente
considerata come espressione di un valore creato dalla medesima collettivita' la quale viene, oggi, contestualmente all'emissione stessa, espropriata ed indebitata di tutti i valori monetari.

-che, allo stato attuale, nessuna legge indica il proprietario della moneta all'atto dell'emissione;

-che la moneta-carta viene presentata sotto la veste formale di falsa combiale (ad es.: Lit. 100.000 pagabili a vista al portatore, f.to il governatore della Banca d'Italia);

-che è gran tempo ormai che si esca dall'equivoco di spacciare sotto la parvenza di valore creditizio il valore monetario. Infatti, per comprendere le differenze fondamentali tra moneta e credito è sufficiente riportarsi alle seguenti considerazioni:
A) il credito si estingue col pagamento, mentre la moneta continua a circolare dopo ogni transazione indefinitamente perché, come ogni unità di misura, è un bene ad ultilità ripetuta;
B) il valore del credito è sottoposto al rischio dell'inadempimento, mentre il valore monetario è attuale e certo poiche', per l'induzione giuridica, la moneta è bene reale, oggetto di diritto di proprietà;
C) nel credito prima si determina il precetto normativo e poi lo si manifesta, mentre nella moneta prima viene creata la manifestazione formale (simbolo monetario) e successivamente, all'atto dell'emissione, per il tramite dell'accettazione, le si conferisce il valore. In altri termini, crea il valore della moneta non chi la emette, ma chi l'accetta;
D) il valore creditizio è causato dalla promessa del debitore, come avviene nella cambiale, mentre il valore monetario è causato dall'accettazione convenzionale della collettività;

-che attualmente il portatore della moneta ha la proprietà di valori illecitamente gravati di debito verso la banca centrale, di cui non ha la consapevolezza perché questo debito è senza scadenza e non è individuale ma collettivo;

-che su tali premesse il mercato viene dissanguato dalla grande usura del sistema bancario perché pretendere oggi di pagare un debito di denaro con altro denaro e come pretendere di pagare un debito con un altro debito. Poiché ciò è impossibile, a lungo andare, gli operatori economici si vedono costretti a pagare il debito non dovuto con l'esproprio dei loro beni. Solo così si può spiegare la c.d. conversione dei crediti bancari in capitale a rischio (pacchetti azionari) che costituisce la fase conclusiva dell'illecito arricchimento che trova la sua origine nel momento dell'emissione monetaria. A siffatto, paradossale stato di cose, non potrà porsi rimedio se non stabilendo chi sia il proprietario della moneta all'atto dell'emissione così colmando, con autorevole interpretazione giurisprudenziale, un vuoto legislativo ormai non più tollerabile.

-che, peraltro, la situazione de qua risulterebbe oltremodo aggravata nell'ipotesi in cui l'istante dovesse accedere al credito bancario. Infatti, la sua iniqua posizione di debitore originario della moneta viene ulteriormente onerata dagli interessi richiesti dall'istituto di credito che, siccome si configurano come accessori al bene principale (moneta) di proprietà dei cittadini, non sono dovuti. La situazione fattuale testé espressa espone evidentemente il deducente all'inibizione, per fatto e colpa del sistema bancario e dell'emissione monetaria, della legittimazione giuridica, rectius "capacità giuridica'.

Pertanto, l'istante, come in atti rapp. dom. e difeso,

CITA

la Banca d'Italia, in persona del Governatore legale corr. in Roma alla Via Nazionale a comparire innanzi al Tribunale di Roma, G.I. e sezione designandi, per l'udienza del ............... , ore e locali di rito. Con l'invito a costituirsi nei termini e modi di legge e con l'espresso avvertimento che, in mancanza, si procederà in sua legittima dichiaranda contumacia per ivi sentir accogliere le seguenti

CONCLUSIONI
Piaccia all'Ill.mo Tribunale di Roma, contrariis reiectis, così provvedere:
dichiarare la moneta un bene reale conferito, all'atto dell'emissione, a titolo originario, in proprietà di tutti i cittadini appartenenti alla collettività nazionale italiana, con conseguente declaratoria d'illegittimità dell'attuale sistema dell'emissione monetaria che trasforma la banca centrale da ente gestore ad ente proprietario dei valori monetari. Vinte le spese di lite.
-Avv Giuseppe Marzano-
-Avv. Berardino Ciucci-
-Dott. Proc. Antonio Pimpini-
In proprio e rappresentarmi e difendere nella presente procedura, ed in ogni sua occorrenda fase e grado, gli Avv.ti Giuseppe Marzano del Foro di Roma, Berardino Ciucci del Fore de L'Aquila ed il Dott. Proc. Antonio Pimpini del Foro di Chieti. Eleggo domicilio nello Studio in Roma alla Via . Traversari n. 55
NOTIFICATO IL 24/06/1994

Sapete cosa ha risposta la Procura di Roma? LA DOMANDA: "A CHI APPARTIENE LA MONETA ALL'ATTO DELL'EMISSIONE", E' IMPROPONIBILE. Cioè: non possiamo chiedere a chi appartiene la nostra moneta, dobbiamo solo pagare e zitti, capito mi hai? Il professore è stato quindi condannato a... pagare le spese. CON GLI EURO DI CHI?

L'ultimo documento in merito alla questione, trovato su Internet, è un'intervista al Dott. Bruno Tarquini:

[2002]
Via libera al "Simec" da parte del procuratore generale Bruno Tarquini, che afferma: «è un'intuizione geniale»
«IL DENARO MESSO IN CIRCOLAZIONE NON E' DI PROPRIETA' DELLA BANCA CENTRALE»
E rincara la dose: «l'Istituto di emissione ha raggiunto un tal grado di professionalità nella appropriazione di risorse altrui da avvalorare e consolidare il convincimento di avere il diritto di farlo come proprietario della moneta».

BRUNO TARQUINI*

Preliminare ad ogni altra è la questione relativa alla proprietà della moneta al momento della sua emissione. Chi è dunque il proprietario della moneta in quel preciso momento? Il problema non è di poco conto, giacché esso non è disciplinato né previsto da alcuna disposizione di legge: lo stesso R.D. 11 Giugno 1936, n. 1607 (riguardante lo statuto della banca d'Italia) si limita a stabilire (art. 1) che la Banca Centrale, "quale unico istituto di emissione, emette biglietti nei limiti e con le forme stabilite dalla legge", e (art. 20) che il suo Consiglio Superiore, tra l'altro, "delibera la creazione e l'emissione dei biglietti Ora, poiché la moneta, al momento della sua emissione, non può ovviamente considerarsi "resnullius", essa deve necessariamente appartenere ad un proprietario, il quale, d'altra parte, non può essere che lo Stato o la stessa Banca Centrale, della quale giova ricordare la natura di società privata. Ma chi dei due? Neanche i diretti interessati sembrano avere sul punto le idee chiare.

Infatti, rispondendo ad una interrogazione parlamentare il 20 Maggio 1995, il Sottosegretario di Stato per il Tesoro rispose, "sentita nel merito la Banca d'Italia", che "per tutta la durata della circolazione la moneta rappresenta un debito, una passività dell'istituto di emissione e come tale è scritta nel suo bilancio fra le poste passive. (NON PUÒ PERTANTO SOSTENERSI CHE LA BANCA D'ITALIA SIA PROPRIETARIA DEI VALORI MONETARI). Al contrario la Banca Centrale, ne corso un giudizio civile promosso dal professor Auriti dinnanzi al tribunale di Roma (diretto all'accertamento che la moneta, all'atto dell'emissione è di proprietà dei cittadini italiani, e che, pertanto è illegittimo l'attuale sistema dell'emissione monetaria, che trasforma la Banca Centrale da ente gestore ad ente proprietario dei valori monetari), ha dichiarato di essere proprietario della moneta che crea e emette in circolazione.

Come è evidente si tratta di due affermazioni irrimediabilmente confliggenti: l'una esclude l'altra. Ma chi ha ragione? Se si parte da un dato di fatto incontrovertibile, vale a dire che la Banca d'Italia iscrive i valori monetari emessi tra le poste passive del proprio bilancio, come debito (facendo chiaro affidamento ormai alle inutile formula "pagabili a vista del portatore" riportata sulle banconote che le dovrebbe trasformare in apparenti cambiali), non v'è alcun dubbio che avrebbe ragione il Sottosegretario per il Tesoro. Ma se si parte da un altro dato di fatto, pur esso inoppugnabile, vale a dire che la Banca d'Italia percepisce un interesse (il c.d. tasso di sconto) sulla moneta che emette, comportandosi come un proprietario che dà in prestito il proprio denaro, avrebbe ragione la Banca Centrale. Ma in ogni caso, nell'una o nell'altra ipotesi ci troviamo sempre ad una singolare anomalia, rappresentata o da un debitore che percepisce interessi come se fosse un creditore, oppure da un creditore che emette cambiali come fosse un debitore: nel primo caso lucra indebitamente interessi che non gli sono dovuti, nel secondo caso falsifica il bilancio inserendo nel passivo poste attive e procurandosi ugualmente guadagni indebiti.

Se la situazione è quella ora delineata si propone un caso in cui la prassi sopraffa il diritto: l'istituto di emissione ha raggiunto un tal grado di professionalità nella appropriazione di risorse altrui da avvalorare e consolidare il convincimento di avere il diritto di farlo come proprietario della moneta. Questa palese anomalia, scaturita dalla rinuncia dello Stato alla propria sovranità monetaria, può essere quindi eliminata certamente con la riappropriazione da parte dello Stato di quella sovranità; ma in ogni caso con la integrale applicazione della Carta costituzionale repubblicana, che all'art. 42, secondo comma, nel riconoscere e garantire la proprietà privata, ne assicura la funzione sociale e l'accesso a tutti i cittadini. Tale norma utilizza il termine giuridico di proprietà nella sua accezione più ampia, ma anche nel suo significato concettuale più moderno, come lascia intendere il richiamo alla funzione sociale, abbandonando quindi, ogni impronta troppo individualistica e recependo lo spirito che già aveva cominciato ad aleggiare nel vigente codice civile del 1942; cosicché l'elemento sociale rimane connaturato nel concetto stesso di proprietà, come suo immancabile gene.

Ciò che viene riconosciuta e garantita è la proprietà di ogni bene, sia immobile sia mobile, e quindi non può ritenersi inclusa nella norma costituzionale anche la proprietà degli strumenti o mezzi di produzione. Inoltre una interpretazione di quella norma che voglia essere non solo completa, ma soprattutto efficace ed utile, non può prescindere dal prendere in considerazione i princìpi fondamentali del diritto sociale. Vale a dire di quella parte dell'ordinamento giuridico che ravvisa nella norma lo scopo di fornire non solo una tutela giuridica ma anche, e soprattutto, il contenute economico del diritto. Ecco, dunque, perché nella previsione della norma costituzionale in esame deve essere ricompresa, tra i beni alla cui proprietà è assicurato l'accesso a tutti i cittadini, anche la moneta all'atto della sua emissione, nel senso che invece di essere a loro addebitata (come avviene attualmente), essa sia invece loro accreditata, così che sia possibile dare ad ogni cittadino, invece dei beni reali, il denaro per comprarli a titolo di reddito di cittadinanza.

In ciò consiste il principio della proprietà popolare della moneta, come conseguenza di quella geniale intuizione di Giacinto Auriti e sulla teoria di "valore indotto", che ha dimostrato come la moneta sia una fattispecie giuridica, perché, come ogni unità di misura, è causata dalla convenzione: la moneta è sì "misura del valore" (come il metro è la misura della lunghezza), ma è anche "valore della misura", che è appunto il suo valore indotto, cioè il suo "potere d'acquisto". Il valore indotto è un puro valore giuridico, afferma Auriti, e la moneta, quindi, come "contenitore del valore della misura deve considerarsi un bene reale oggetto di scambio. "Nella moneta - ha scritto il nostro giurista guardiese - si verifica un fenomeno analogo a quello dell'induzione fisica. Come nella dinamo l'energia meccanica causa energia elettrica, così nella moneta la convenzione causa il valore indotto del simbolo. Pertanto la moneta è un bene collettivo, in quanto creato dalla convenzione sociale, ma di proprietà privata individuale perché attribuita al portatore del simbolo, in virtù dell'induzione giuridica".

Pertanto il riconoscimento della proprietà popolare della moneta, secondo i princìpi enunciati da Auriti, costituisce doveroso adempimento del dettato costituzionale. Da tutto ciò nasce l'idea del "Simec" (acronimo che sta per simbolo econometrico del valore indotto n.d.t.), di questa moneta locale, destinata a circolare parallelamente a quella legale. Si tratta di un esperimento "in corpore vili", che, peraltro, è stato già con successo realizzato in molte città nord-americane, dove la "local money" circola liberamente insieme con il dollaro (in Italia è stata avviata con successo la circolazione dei "Simec" a Guardiagrele in Abruzzo, l'esperimento sarà esteso a Crotone (con molta probabilità anche a Soveria Mannelli in provincia di Catanzaro, n.d.t.) e in altri centri del nord Italia).

Il "Simec", come moneta convenzionale, è perfettamente compatibile con la moneta legale, dalla quale esso è formalmente e giuridicamente diverso. Non ritengo neanche che la circolazione del "Simec" possa essere penalmente illecita, perché il vigente codice penale, nel Capo 1 del Titolo VII, prevede solo reati che attengono alla contraffazione ed alle alterazioni di monete nazionali o straniere e delle carte di pubblico credito, ed alla loro introduzione nel territorio nazionale, detenzione e spendita; né mi risulta che esistano altre forme penali speciali che prevedano fatti di così straordinaria novità. Né, infine, la circolazione di una moneta locale può essere minimamente sussumibile nelle previsioni penali del Capo 1 del Titolo VIII del codice penale, che riguardano delitto contro l'economia pubblica.

* già Procuratore Generale presso la Corte d’Appello dell'Aquila