venerdì 21 ottobre 2011

La storia del "signore delle scimmie"

di Salvatore Tamburro

La storia del "signore delle scimmie"


Nel feudo di Chu, un vecchio si guadagnava da vivere addestrando delle scimmie. La gente del posto lo chiamava "Ju Gong" (signore delle scimmie).
Ogni mattina, il vecchio radunava le scimmie nel suo cortile, e ordinava alla più anziana di condurre le altre sulle montagne per raccogliere frutta da cespugli e alberi. Ogni scimmia doveva consegnare un decimo del raccolto al vecchio, questa era la regola. Quelle che non la rispettavano, venivano frustate senza pietà. 
Tutte le scimmie pativano gravi sofferenze, ma non osavano lamentarsi.
Un giorno, una scimmietta chiese alle compagne: <<E' stato il vecchio a piantare gli alberi da frutta e i cespugli?>>. Le altre risposero: <<No, sono cresciuti spontaneamente>>. Allora la scimmietta domandò: <<Non possiamo raccogliere i frutti senza il permesso del vecchio?>>. E le altre: <<Certo che si>>. 
La scimmiettà proseguì: <<Allora perchè dobbiamo dipendere da lui, perchè dobbiamo servirlo?>>.
Prima che la scimmietta potesse finire la frase, tutte le altre scimmiette all'improvviso ebbero un'illuminazione.
Quella notte stessa, mentre il vecchio dormiva, le scimmie abbatterono il recinto in cui erano segregate, presero i frutti che il vecchio aveva in magazzino, li portarono nella foresta e non fecero più ritorno. 
Alla fine il vecchio morì di fame.
"Governare con l'inganno" di Yu Li Zi (1311-1375)

Secondo Yu Li Zi ci sono uomini nel mondo che governano con l'inganno e non con rettitudine. Non sono forse come il signore delle scimmie? Non si rendono conto della propria confusione mentale. E appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.
I politici, con la complicità dei mezzi di informazione, tendono a raffigurarci problemi marginali offrendoci soluzioni sterili. Fingono di cambiare tutto, per poi non cambiare nulla.
La verità va ricercata nella comprensione del vero funzionamento del sistema socio-economico, basato sulla truffa del debito pubblico, sul signoraggio, su una politica monetaria delegata nelle mani di istituzioni private come le banche centrali (BCE e Federal Reserve) o istituzioni sovra-nazionali come FMI, WTO, ONU, Bilderberg, PNAC, CFR, RIIA.
Non aspettatevi liberatori che provengano dall'esterno per salvarvi; cominciate ad informarvi da fonti indipendenti, spegnete la tv e maturate dentro di voi quell'istinto di ribellione a tutte le forme di schiavitù che opprimono la logica, il corpo e la realizzazione dei vostri sogni.


Banche: Amarcord Italiano


Banche: Amarcord Italiano

di: Ugo Gaudenzi, Rinascita
Sembra che l’ex ministro del Lavoro Usa, Robert Reich, sia stato “illuminato”. Reich
ha difatti inviato un messaggio al comitato “NoBigBanks”, tra i promotori
della lunga protesta contro Wall Street, per sostenere - udite, udite - la
immaginifica proposta di “dividere le attività bancarie finanziarie speculative da
quelle ordinarie”, per garantire così che i cittadini non saranno più costretti a subire
le conseguenze di un sistema finanziario ultraliberista basato sul gioco
d’azzardo che affossa l’economia reale, quella produttiva.
Certo, di questi tempi una proposta “rivoluzionaria”. Salverebbe, dicono, anche
l’Europa dalle continue “manovre” e stangate volte a tenere in piedi un
sistema di salvataggio bancario...
Ma, ci chiediamo noi, non è che Mr. Reich abbia “scoperto l’acqua”? Crediamo
proprio di sì.
Prendiamo l’Italia di 80 anni fa. Che cosa decisero le autorità dell’epoca perché la
nazione non fosse coinvolta nella “grande depressione” esportata dagli Stati
Uniti d’America? Per frenare il collasso del sistema bancario italiano?
Decisero esattamente questo.
Le banche dovevano essere banche (e di categoria: agricoltura, lavoro, commercio etc.)
non doveva esserci alcuna partecipazione azionaria tra  banche e attività
finanziarie e industria produttiva o commerciale, e soltanto l’Imi assicurò alle imprese
finanziamenti di medio-lungo periodo. La conclusiva legge-quadro di riforma bancaria
(1936) definì la Banca d’Italia - di emissione del denaro e di vigilanza sugli istituti
di credito - un “istituto di diritto pubblico” (di tutti...) e gli azionisti privati vennero
espropriati dalle loro quote; alla Banca d’Italia fu demandata la vigilanza sugli
istituti di credito e finanziari, al suo “governatore” fu imposta la direzione di un
comitato ministeriale presieduto dal Capo del governo; fu deliberata una
ancora più netta separazione tra banche e industria; l’attività di credito fu
definita (con i doveri conseguenti) un servizio di interesse pubblico, le maggiori
banche nazionali diventarono a partecipazione statale (le b.i.n.),  quindi di tutti i cittadini.
E così via.
Ma qualcuno, nel 1993 - già: quella banda (dei vari Andreatta, Prodi, Ciampi, Dini,
Draghi) che ha predato la nazione di tutte le sue industrie e imprese strategiche - ha
abrogato quella legge. Era, evidentemente, “fascista”... O, comunque,
era d’ostacolo all’arrembaggio dei privati, degli speculatori, degli usurai.
Dunque, e Reich? Un liberista anti-liberista? Ma va là...

(18 Ottobre 2011)

Banca d’Italia, Ignazio Visco è il nuovo BOSS


BLITZ, ROMA, 20 OTT- E’ Ignazio Visco, vice segretario generale della Banca d’Italia, il nuovo governatore di Palazzo Koch. Alla fine, all’ultimo momento, ha prevalso la linea interna, con una scelta all’insegna della continuità.
Messi da parte gli altri nomi tanto circolati in questi giorni, da Vittorio Grilli a Fabrizio Saccomanni, fino a Anna Maria Tarantola. Ma soprattutto questa scelta, gestita in modo “non piacevole”, come hanno detto alcune fonti del Consiglio Superiore di via Nazionale, accantona Lorenzo Bini Smaghi, attualemente ancora nel board della Banca Centrale Europea.
Ciquantun’anni, tre figlie, Ignazio Visco è vice direttore generale di Bankitalia dal gennaio del 2007. Una laurea alla Sapienza di Roma e diversi corsi di perfezionamento e dottorati negli Stati Uniti, Visco ha anche un passato all’Ocse. Visco, appunto, non e Saccomanni, non gradito al ministro dell’Economia Giulio Tremonti, non è Grilli, che era un esterno, e non è Bini Smghi, che avrebbe accreditato possibili retroscena poco piacevoli.
E’ stata proprio la posizione di Bini Smaghi, fino alla serata di oggi dato come il più accreditato successore di Mario Draghi, a destare qualche problema al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Dopo la nomina di Draghi Bini Smaghi aveva detto che si sarebbe fatto da parte per lasciare il posto alla Francia di Jean-Claude Trichet. Poi però aveva cambiato idea, dicendo che sarebbe rimasto al suo posto fino al termine naturale del mandato. A meno che non fosse stato designato governatore di Bankitalia.
Ora la nomina è stata fatta. Berlusconi affronterà il nodo Bce-Bini Smaghi con il presidente Nicolas Sarkozy in occasione del vertice europeo di domenica, salvo che il vertice non venga rimandato come oggi hanno detto voci di Berlino.
La designazione di Visco riporta le redini di Bankitalia ad un interno, dopo la parentesi Draghi che si insediò a Palazzo Koch provenendo dal Tesoro, dov’era direttore generale, la stessa posizione che occupa adesso Vittorio Grilli. Ma la parentesi esterna di Draghi era stata causata dall’improvviso allontanamento di Antonio Fazio, coinvolto nell’inchiesta sui “furbetti” del quartierino.
Umberto Bossi, che aveva sempre sostenuto la candidatura del milanese Grilli, ha detto, a chi gli chiedeva se Napolitano potesse aver in qualche modo sollecitato una soluzione “interna”, che “Napolitano è stato molto presente”.
20 ottobre 2011 | 19:56

La super-entità che governa il mondo economico.

La super-entità che governa il mondo economico. 
Filed under: Società by capubianco


 Mentre i venti di protesta contro il potere finanziario soffiano in tutto il mondo, la scienza potrebbe avere confermato i peggiori timori dei manifestanti. Un’analisi delle relazioni tra 43.000 aziende transnazionali ha identificato un gruppo relativamente piccolo di aziende, soprattutto banche, con un potere sproporzionato sull’economia globale. Le ipotesi dello studio hanno suscitato alcune critiche, ma i tre analisti di sistemi complessi autori dello studio, lo definiscono uno sforzo per districare i fili del controllo dell’economia globale. I tre ricercatori dell’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Zurigo sostengono anche che spingendo l’analisi più avanti si potrebbe contribuire a identificare i metodi per rendere più stabile il capitalismo globale. L’idea che alcuni banchieri controllino gran parte dell’economia mondiale potrebbe non sembrare una notizia nuova al movimento newyorchese Occupy Wall Street e agli altri manifestanti sparsi per il mondo. Ma lo studio condotto dal trio di teorici di sistemi complessi è il primo ad andare aldilà dell’ideologia per tentare di identificare empiricamente la rete di potere. La ricerca svizzera combina la matematica da tempo usata per creare modelli di sistemi naturali con i dati aziendali completi al fine di mappare le reali proprietà delle aziende transnazionali. “La realtà è così complessa che dobbiamo liberarci dal dilemma che si tratti di teorie complottiste o di libero mercato – ha affermato James Glattfelder, uno degli autori – la nostra analisi è basata sulla realtà”. Precedenti studi avevano già scoperto che alcune aziende possiedono larghe fette dell’economia mondiale, ma nelle ricerche era incluso solo un numero limitato di società e veniva omesso il concetto di proprietà indiretta. Pertanto non riuscivano a spiegare l’impatto di questo stato di cose sull’economia globale (per esempio se ciò la rende più o meno stabile). Il team di Zurigo può. Da Orbis 2007, un database che contiene 37 milioni di aziende e investitori di tutto il mondo, hanno estratto tutte le 43.060 transnazionali e le proprietà condivise che le collegano. Poi hanno costruito un modello che descrivesse quali aziende ne controllino altre attraverso le reti di partecipazione azionaria, accoppiando a questo i dati relativi ai ricavi operativi di ogni azienda, per mappare la struttura del potere economico. Lo studio che sarà pubblicato su PloS One, ha rivelato un nucleo di 1318 aziende di proprietà interconnesse. Ognuna delle 1318 ha avuto legami con due o più altre aziende e, in media, ciascuna aveva venti collegamenti. Inoltre, anche se l’insieme di queste aziende rappresenta il 20 per cento dei ricavi operativi globali, queste collettivamente possiedono, attraverso le loro azioni, la maggior parte dei blue chip e delle aziende manifatturiere del mondo (la cosiddetta economia reale) che a loro volta rappresentano un ulteriore 60 per cento dei ricavi globali. Quando i ricercatori svizzeri hanno districato ulteriormente la rete delle proprietà, hanno scoperto che una super-entità di 147 aziende legate ancora più strettamente delle altre controlla il 40 per cento della ricchezza totale. In buona sostanza ciò significa che meno dell’uno per cento delle aziende mondiali è in grado di controllare il 40 per cento della rete economica.In maggior parte si tratta di istituti finanziari. Nella Top 20 sono incluse Barclays Bank, JPMorgan Chase & Co e Goldman Sachs Group. John Driffill un esperto di macroeconomia della University of London, sostiene che il valore dell’analisi non è solo quello di avere individuato un piccolo numero di persone che controlla l’economia globale, ma anche l’avere approfondito questioni legate alla stabilità economica.Secondo gli autori della ricerca la concentrazione di potere in sè non è né buona né cattiva, ma le strette interconnessioni del reale nucleo di controllo potrebbero essere fonte di problemi. Come il mondo ha appreso nel 2008, queste reti sono instabili. “Se un’azienda entra in sofferenza – ha spiegato Glattfelder – questa si propaga”. “È sconcertante vedere come le cose sono collegate davvero” ha commentato George Sugihara un esperto di sistemi complessi della Scripps Institution of Oceanography di La Jolla (California) ed ex consigliere di Deutsche Bank. Yaneer Bar-Yam, a capo del New England Complex Systems Institute (NECSI), avverte che l’analisi presuppone che la proprietà equivalga al controllo, il che non è sempre vero. La maggior parte delle azioni della società sono detenute da gestori di fondi che possono o non possono controllare ciò che le aziende fanno effettivamente. Ma secondo lo studioso statunitense l’impatto di tutto ciò sul comportamento del sistema economico richiede ulteriori approfondimenti. Fondamentalmente lo studio mettendo a fuoco l’organizzazione del potere economico mondiale, potrebbe fornire valide indicazioni per renderlo più stabile. Inoltre individuando gli aspetti vulnerabili del sistema consentirebbe agli economisti di suggerire misure per evitare futuri crolli che si diffondano nell’intera economia. Glattfelder sostiene che potremmo aver bisogno di regole antitrust globali, che ora esistono solo a livello nazionale, per limitare l’eccesso di connessioni tra aziende transnazionali. Secondo Bar-Yam l’analisi suggerisce una possibile soluzione: per scoraggiare questo genere di atteggiamento le imprese dovrebbero essere tassate per eccesso di interconnessione. Di certo una cosa non convincerà i manifestanti che in questi giorni marciano su Wall Street: è improbabile che la super entità sia il risultato di una cospirazione che mira a governare il mondo. “Questo genere di strutture sono comuni in natura,” ha detto Sugihara. I nuovi arrivati in qualunque rete si connettono preferenzialmente con membri altamente connessi. I vertici delle aziende transnazionali acquistano le proprie azioni a vicenda per motivi commerciali, non per dominare il mondo. Nel caso della connessione dei gruppi economici il denaro scorre verso i membri più altamente connessi. Lo studio di Zurigo è una prova evidente del fatto che le semplici regole che disciplinano le società transnazionali danno luogo spontaneamente a gruppi altamente connessi. Braha ritiene che il fatto che il movimento Occupy Wall Street sostenga che l’1 per cento delle persone detiene la maggior parte della ricchezza rifletta “una fase logica dell’economia auto-organizzante”. Quindi la super-entità non può essere il prodotto finale di una cospirazione. La vera questione -puntualizza il team svizzero – è comprendere se questo si tpossa tramutare in strategie politiche concordate. Secondo Driffill 147 aziende sono troppe per sostenere la collusione. Braha sospetta che queste competano nel mercato, ma agiscano di comune accordo sugli interessi comuni. E resistere a eventuali modifiche della struttura di rete può essere un interesse comune. La Top 50 delle 147 che formano la super-entità 1. Barclays plc 2. Capital Group Companies Inc 3. FMR Corporation 4. AXA 5. State Street Corporation 6. JP Morgan Chase & Co 7. Legal & General Group plc 8. Vanguard Group Inc 9. UBS AG 10. Merrill Lynch & Co Inc 11. Wellington Management Co LLP 12. Deutsche Bank AG 13. Franklin Resources Inc 14. Credit Suisse Group 15. Walton Enterprises LLC 16. Bank of New York Mellon Corp 17. Natixis 18. Goldman Sachs Group Inc 19. T Rowe Price Group Inc 20. Legg Mason Inc 21. Morgan Stanley 22. Mitsubishi UFJ Financial Group Inc 23. Northern Trust Corporation 24. Société Générale 25. Bank of America Corporation 26. Lloyds TSB Group plc 27. Invesco plc 28. Allianz SE 29. TIAA 30. Old Mutual Public Limited Company 31. Aviva plc 32. Schroders plc 33. Dodge & Cox 34. Lehman Brothers Holdings Inc* 35. Sun Life Financial Inc 36. Standard Life plc 37. CNCE 38. Nomura Holdings Inc 39. The Depository Trust Company 40. Massachusetts Mutual Life Insurance 41. ING Groep NV 42. Brandes Investment Partners LP 43. Unicredito Italiano SPA 44. Deposit Insurance Corporation of Japan 45. Vereniging Aegon 46. BNP Paribas 47. Affiliated Managers Group Inc 48. Resona Holdings Inc 49. Capital Group International Inc 50. China Petrochemical Group Company