mercoledì 11 gennaio 2012

FN impicca manichino davanti all’AdE

Forza Nuova impicca manichino davanti all’Agenzia delle Entrate a Macerata

http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/forza-nuova-impicca-manichino-davanti-allagenzia-delle-entrate-a-macerata-1076750/

MACERATA – Alcuni militanti di Forza Nuova hanno affisso la scorsa notte davanti all'Agenzia delle Entrate di Macerata uno striscione con la scritta ''Il debito pubblico e' una truffa. Stop signoraggio'', impiccando inoltre un manichino davanti ai cancelli d'ingresso ''per dare voce agli italiani afflitti da pignoramenti, licenziamenti, precariato, pensioni che scompaiono e aumenti dei prezzi''.
''Un'iniziativa – si legge in una nota del movimento di ultradestra – per combattere la disinformazione sulla crisi economica in atto e protestare contro la manovra 'lacrime e sangue' imposta del governo del bankster Monti''. Secondo i forzanovisti, ''il debito pubblico e' un debito che abbiamo contratto con l'ormai privatizzata Banca d'Italia, che crea denaro dal nulla e lo presta allo Stato e ai cittadini. Questo meccanismo, chiamato signoraggio bancario, genera un debito inestinguibile, che affama il popolo e lo rende succube al potere finanziario del Fondo Monetario Internazionale''.
Per Fn ''l'unica soluzione per uscire dalla crisi'' starebbe nel non pagare il debito e nazionalizzare le banche; lo Stato dovrebbe riappropriarsi della sovranita' monetaria, varare misure coercitive verso i ''gruppi finanziari che stanno speculando sull'Italia e sull'Europa'' e interpellare i cittadini attraverso referendum sulle decisioni da prendere in ambito economico e finanziario.
11 gennaio 2012 | 12:04

Parte Napo, il buono per rilanciare il commercio


COMUNE DI NAPOLI 


Parte Napo, il buono per rilanciare il commercio

Inizia il countdown per l’introduzione della prima banconota firmata da Luigi de Magistris che il Comune di Napoli utilizzerà nell’ambito di un piano di rilancio delle botteghe cittadine, elaborato dall’assessorato al Commercio. Si di un premio riconosciuto a chi rispetta le regole dell’amministrazione.
GLI ARTIGIANI
“E’il primo passo verso la ripartenza dell’economia cittadina. Gli artigiani e gli esercenti che accumuleranno questa moneta – spiega l’assessore al Lavoro e al Commercio Marco Esposito – potranno poi unirsi e chiedere al Comune interventi migliorativi di arredo urbano. Creeremo convenzioni con botteghe partenopee e i cittadini potranno spendere lì i propri. Ad esempio – coupon – continua Esposito – un prodotto costa 30 euro? Faremo in modo che costi 27 euro e 3 Napo”.
CONFESERCENTI
E’la risposta concreta del Comune di Napoli alle richieste di Confesercenti, ieri ribadite dal presidente provinciale Vincenzo Schiavo, nel corso dell’incontro con il primo cittadino Luigi de Magistris: “Due sono le ‘pretese’ che mi sento di avanzare nei confrontio del Sindaco in rappresentanza dei nostri iscritti: in primo luogo l’attivazione di tutte le procedure per sbloccare i pagamenti previsti dal Comune di Napoli verso i fornitori in modo da rimettere in moto le economie in grosse difficoltà; e in secondo luogo il rilancio immediato – prosegue Schiavo – e condiviso di un progetto che faccia decollare la vocazione turistica del territorio, attraverso la promozione delle tipicità e delle eccellenze produttive e commerciali del territorio. Ciò non toglie – conclude Schiavo – che la Giunta sono ad ora ha fatto un ottimo lavoro ed è per questo che avanzo la legittima richiesta di mettere tutti noi nelle condizioni di godere delle stesse opportunità degli esercenti del resto d’Italia e d’Europa; d’altronde noi siamo precisi e rispettosi delle regole e di conseguenza è giusto che la nostra voce venga ascoltata”.
LA COMUNICAZIONE 
Il sindaco ha le idee chiare sullo strumento da adottare in tal senso: “La comunicazione – esordisce de Magistris – è la chiave di volta. Bisogna gridare a squarciagola tutte le cose buone e belle che si fanno a Napoli. Esempio concreto? Napoli non è la città più pericolosa d’Italia, anzi, a dirla tutta – prosegue facendo riferimento – è al terzo posto dopo, pensate, Milano e Roma. Bisogna comunicare a tutti questi dati in modo da poter riattivare quei meccanismi che come conseguenza finale hanno sicuramente anche il rilancio dell’economia. E non bisogna dimenticare – conclude – che la crisi rifiuti è finalmente risolta; questo non potrà che ridare lustro alla città e anche al commercio”.
I DEBITI DELL’ENTE 
A questo punto l’attenzione si sposta sui debiti che il Comune di Napoli registra nei confronti di diverse imprese che sono circa 2.100 per un totale di 1.100.000.000 di euro, ci si chiede quando ed in che modo verranno pagate. Il sindaco replica senza indugi: “Alzare le tasse permetterebbe al Comune di agevolarsi nei confronti delle imprese creditrici, ma io ho ‘promesso’ che non alzerò le tasse e spero di poter mantenere la parola data; ecco perché – incalza – i soldi cercheremo di prenderli altrove magari da quelli provenienti dai benefici economici di cui la città godrà grazie alle migliorie apportate ed a cui si affaccerà anche nel immediato futuro
Sono 2.100 le imprese in attesa di essere pagate
• Debiti verso imprese fornitrici: 1.100.000.000 di euro
• Debiti per spesa corrente: 1.600.000.000 di euro
• Imprese in attesa di pagamento: 2.100 circa
• Tempo medio di attesa per pagamento: 3 anni
• Debiti delle società partecipate: 1.320.000.000 di euro
Il Comune di Napoli registra debiti per 1,1 mld nei confronti di circa 2.100 imprese fornitrici

Beppe GRILLO: Jeremy RIFKIN, economista

Spagna: il ritorno della peseta


Spagna: il ritorno delle pesetas
di Sara Santolini - 10/01/2012

Fonte: il ribelle 
La vecchia moneta nazionale come rifugio dalla crisi economica. È questo che dal primo ottobre dello scorso anno, e sicuramente fino alla fine di gennaio, stanno sperimentando a Salvaterra de Miño, in Galizia, dove è possibile fare compere in pesetas, piuttosto che in euro, beneficiando dello stesso tasso di cambio utilizzato al momento dell’introduzione della moneta unica.
A dieci anni dalla sua nascita, l’euro traballa a tal punto che il suo salvataggio è al centro di tutta una serie di proposte e controproposte finanziarie che mettono in difficoltà i rapporti tra gli Stati membri dell’Ue. Eppure la moneta unica non gode affatto della simpatia degli europei. Che l’introduzione dell’euro non abbia portato alcun beneficio alla popolazione lo pensa infatti buona parte dei cittadini. Anche e soprattutto gli spagnoli (per il 70%). L’aumento dei prezzi, molto più forte di quello dei salari, ha eroso il reddito mettendo a dura prova la tenuta economica e sociale e adesso, che la crisi sta diventando ancora più aspra, qualsiasi modo per recuperare il valore della moneta è ben accetto. Così si spiega il grande affluire di clienti a Salvaterra dove una cinquantina di commercianti hanno deciso di aderire alla “operazione peseta” e di accettare la vecchia moneta nazionale.
Solo pochi anni fa questa località prometteva bene, in termini economici. Oggi invece rappresenta il classico esempio delle previsioni di sviluppo che non si avverano. Si prefigurava la realizzazione di un “pentagono industriale”, che avrebbe attratto aziende del calibro di Mitsubishi e Psa Peugeot Citroën, e nel contempo si costruiva a tutto spiano per i lavoratori che sarebbero “necessariamente” arrivati. Poi è sopravvenuta la crisi e il progetto è rimasto tale. Tanto per ribadire che lo sviluppo infinito non è possibile - cosa che dovrebbero ricordare tutti i costruttori e similari, primi tra tutti i sostenitori della Tav che prevedono (Dio sa come) che in un non meglio precisato futuro lacrescita renderà necessaria l’Alta Velocità.
In questa atmosfera di recessione la vecchia peseta è diventata una vera e propria manna. Qui, infatti, l’iniziativa è più che ben riuscita. I piccoli esercizi commerciali, che soffrono la concorrenza della vicina cittadina portoghese di Monçào, hanno visto affluire denaro contante nelle loro casse mentre i clienti, provenienti da tutto il Paese, hanno avuto la possibilità di tirare fuori dal cassetto le vecchie banconote, e godere del vecchio tasso di cambio che ne ha reso conveniente l’uso. I negozi, che danno il resto ai clienti in euro e trattengono le pesetas per poi versarle alla Banca di Spagna, finora ne hanno accumulate già un milione, che sono tante ma che rappresentano poca cosa se si pensa che in giro per il Paese ce ne sono, sulla base del vecchio controvalore di 166,386, almeno per 1,7 miliardi di euro.
Il successo dell’iniziativa, la cui conclusione viene continuamente rimandata, solleva una serie di domande sull’opportunità di tornare alla moneta nazionale per le economie europee in maggiore difficoltà economica. Ameijeira Rivas, uno dei commercianti coinvolti nell’iniziativa, ha però dichiarato: «La nostra intenzione era quella di stimolare le vendite, e non far credere che tornare alla peseta sia bello e facile». Certo che non lo è. Ma non bisogna dimenticare che, ad esempio, il 10 novembre scorso l'economista Nouriel Roubini, uno dei pochi ad aver previsto la crisi, ha dichiarato al Financial Times che la vera medicina per l'Italia sarebbe quella di uscire dall'unione monetaria. E di ripartire dalla vecchia lira.

IL TEMPO DELLE PERE


IL TEMPO DELLE PERE


Chi non ricorda lo strepitoso successo cinematografico di inizio anni ottanta, Il tempo delle mele, che ha lanciato nell'olimpo del grande schermo la allora attrice francese sconosciuta, Sophie Marceau. Da allora con il termine il tempo delle mele si suole indicare l'età dell'adolescenza ovvero un periodo temporale durante la crescita di un ragazzino in cui inizia a maturare per diventare, si spera, un uomo a seguito di esperienze che lo devono preparare alla vita, come le prime attrazioni sessuali, i primi sentimenti d'affetto e i primi turbamenti e disagi sociali. Al tempo delle mele, se me lo consentite, si deve contrapporre il tempo delle pere ovvero un periodo della vita di un uomo in cui grazie al ricorso a sostanze allucinogene si ha la possibilità di evadere dalla vita reale e proiettarsi in un mondo proprio fatto di sensazioni, astrazioni e pensieri, che purtroppo esistono solo nella propria mente.

Visto quello che sta accadendo al panorama bancario italiano, e non solo, direi proprio che milioni di persone stanno vivendo il loro tempo delle pere. Sono inondato di richieste in posta elettronica di lettori e sostenitori che mi chiedono cosa devono fare con l'aumento di capitale di Unicredit, o se la loro banca in cui sono appoggiati rischia il default, o perchè la loro azienda si è vista ridimensionare in poco tempo il fido precedentemente accordato e così via discorrendo. Cerchiamo di fare assieme alcune riflessioni: Unicredit, la più grande banca italiana per capitalizzazione di borsa (almeno fino ad agosto 2011) è passata dai 70 euro di metà 2007 ai 2,5 euro di inizio 2012, significa una perdita di capitalizzazione di oltre il 95% (significa che se aveste investito 10.000 euro in azioni Unicredit oggi vi trovereste con meno di 500 Euro: ognuno faccia le relative considerazioni). Ma non è un caso unico, la stessa sorte, ma con proporzioni diverse, ma sempre sostenute, è accaduta anche a Banca MPS (da 3,5 a 0,25 Euro), Banca Intesa (da 6 a 1,15 Euro), Banco Popolare (da 16 a 0,90 Euro) e Ubibanca (da 21 a 2,8 Euro).

La borsa per quanto possa essere denigradata come il tempio della speculazione, in realtà rappresenta un efficiente termometro del sentiment economico, non solo riferito agli umori degli operatori che trattano i relativi titoli quotati, ma soprattutto per le aspettative che questi ultimi hanno su determinate aziende, settori o comparti economici. Pertanto il mercato al momento sta “prezzando” il valore che si considera debbano avere le banche che operano sul mercato del prestito, le quali di contrasto negli anni precedenti hanno realizzato utili mirabolanti pompando al rialzo le relative quotazioni. Le imprese bancarie, non solo in Italia, oggi stanno vivendo il loro peggior periodo in termini assoluti in quanto stanno subendo un generale e progressivo processo di deterioramento della qualità del credito precedentemente erogato. In altri termini prestiti concessi in passato a clienti considerati solvibili oggi si stanno trasformando in un incubo a causa dello scenario economico di metamorfosi di tutta l'economia occidentale.

A questo aggiungiamo anche i fenomeni di downgrade che stanno caratterizzando i governativi (titoli di stato) i quali si riflettono attraverso le fluttuazioni delle quotazioni sulla consistenza delle attività bancarie. Vi è di più, stavamo dimenticando l'EBA e Basilea 2 che impongono saggiamente il raggiungimento ed il mantenimento di un determinato coefficente di solvibilità per garantire la solidità del sistema nella sua generalità. Questo rapporto oggi è definito al 8% ovvero per ogni 100.000 euro di impieghi ogni banca deve avere un capitale proprio di almeno 8.000 euro. Oggi è la matematica la causa della serrata bancaria che sta caratterizzando il mercato del credito. Infatti avendo difficoltà a raccogliere nuovo capitale di rischio sul mercato, visto quanto abbiamo esposto prima, con il fine di aumentare il numeratore di questo quoziente, la strada più rapida diventa allora la diminuzione del denominatore e quindi il ridimensionamento degli attivi ponderati per gradi di rischio.

A riguardo è proprio su questo fronte che sta spopolando oggi il tempo delle pere, infatti in Italia vi sono centinaia di banche che non sono quotate in borsa (come banche popolari, crediti cooperativi e casse rurali) che si attribuiscono autonomamente un valore di “mercato”. Attenzione quindi, perchè quanto sopra esposto potrebbe trasformarsi in una bolla destinata a farsi sentire molto presto, a fronte di discutibili metodi di autovalutazione e autovalorizzazione: come è possibile ad esempio che banche quotate sui mercati in quattro anni perdano oltre il 90% di capitalizzazione mentre banche non quotate abbiano visto le loro “valorizzazioni personali” costantemente salire nonostante i vari momenti di turbolenza finanziaria che hanno caratterizzato questi ultimi anni. Per quanto possa essere odiato o venerato, ricordate che il mercato ha sempre ragione: è solo una questione di tempo.

Vogliamo la verità sul debito


Sacrifici? No, grazie. Prima, vogliamo la verità sul debito


Senza più moneta sovrana, gli Stati europei devono indebitarsi con la finanza privata. Ma quando è la finanza a finire in rosso, allora sono gli Stati a sostenere le banche, che altrimenti fallirebbero. E con che soldi gli Stati aiutano le banche? Con quelli dei cittadini, chiamati ad affrontare “sacrifici” straordinari per arginare il debito pubblico. C’è qualcosa che non funziona, è evidente. Il peccato originale? Il sistema privatizza i profitti e socializza le perdite: enormi guadagni per pochi, sempre gli stessi, e salasso garantito per tutti gli altri, che sono sempre di più. La prima mossa da fare per uscire dal tunnel? Ottenere finalmente la verità sul debito: chi l’ha provocato, chi l’ha gonfiato, chi ci ha guadagnato.
Audit Citoyen ForumDalla Francia proviene ora un appello per creare una commissione di audit del debito pubblico in grado di visualizzare come è fatto quel debito, come è stato contratto, a favore di chi e di quali interessi. «Noi vogliamo fare nostra questa proposta – scrive il comitato “Rivolta il debito”, sul suoblog – per rivedere in profondità l’entità del debito pubblico italiano accumulato nel tempo per favorire rendite, profitti, interessi di casta e di una ristretta élite e non certo per favorire le spese sociali, l’istruzione, la cultura, il lavoro». Il primo Stato a pretendere con successo un audit sul proprio debito, nel 2007, è stato l’Ecuador di Rafael Correa, che è riuscito a scremare il passivo da indebite speculazioni finanziarie: giusto pagare solo il debito “legittimo”, non quello gonfiato ad arte dagli “usurai” finanziari.
SarkozyIl comitato francese “Audit Citoyen” ha radunato politici, sindacalisti come Marie-Laurence Bertrand e Patricia Tejas della Cgt, attivisti del calibro di Jean-Claude Chailley di “Résistance sociale” e Thomas Coutrot di “Attac”, gruppi di consumo critico e sodalizi per i diritti civili, economisti di fama come Philippe Askénazy e Frédéric Lordon e poi sociologi, docenti universitari, scrittori, filosofi come Étienne Balibar. «Scuole, ospedali, alloggi d’urgenza, pensioni, disoccupazione, cultura, ambiente: viviamo quotidianamente l’austerità finanziaria e il peggio deve venire», denunciano i francesi. “Noi viviamo al di sopra dei nostri mezzi”, questo è il ritornello che ci viene ripetuto dai grandi media. Per cui, ora “occorre rimborsare il debito”, ci si ripete mattina e sera, Davvro non abbiamo scelte? Davvero occorre “rassicurare i mercati finanziari e salvare la buona reputazione”, cioè la “tripla A” della solvibilità finanziaria, a scapito del welfare?
«Non accettiamo questi discorsi colpevolizzanti», scrive “Audit Citoyen”. «Non vogliamo assistere da spettatori alla rimessa in discussione di tutto ciò che ha reso ancora vivibile le nostre società, anche in Europa». Massacro sociale? No, grazie. Prima di maneggiare la scure del “rigore”, è meglio controllare la genesi della crisi: «Abbiamo speso troppo per la scuola e la sanità oppure i benefici fiscali e sociali dopo vent’anni hanno prosciugato i bilanci? Questo debito è stato contratto nell’interesse generale oppure può essere considerato in parte come illegittimo? Chi possiede questi titoli e approfitta dell’austerità?». E poi: «Perché gli Stati devono essere obbligati a indebitarsi presso i mercati finanziari e le banche, mentre queste possono farsi concedere prestiti direttamente e a un costo più basso dalla Banca centrale europea?».
Francia, manifestazione per l'audit sul debito«Non accettiamo che queste questioni siano eluse o affrontate alle nostre spalle da esperti ufficiali sotto l’influenza delle lobbies economiche e finanziarie», sottolinea l’appello di “Audit Citoyen”. «Vogliamo dire la nostra nel quadro di un ampio dibattito democratico che deciderà del nostro avvenire comune». La realtà è allarmante: «In fin dei conti, siamo dei giocattoli nelle mani degli azionisti, degli speculatori e dei creditori oppure siamo cittadini, capaci di deliberare insieme sul nostro avvenire?». Il comitato francese annuncia una mobilitazione porta a porta: città, quartieri, villaggi, luoghi di lavoro. Obiettivo, la trasparenza: lanciare l’idea di un grande audit del debito pubblico.
E’ un’ottima proposta, scrive il comitato “Rivolta il debito”, che serve per impostare un’altra politica economica, del tutto alternativa a quella avanzata in questi anni dai vari governi che si sono succeduti. Una politica civica e democratica, «improntata alla redistribuzione della ricchezza, alla valorizzazione dei beni comuni, del lavoro, del welfare e dell’ambiente, contro gli interessi del profitto e della speculazione finanziaria: una politica economica per il 99% contro l’1% del pianeta». Esplicito l’appello francese, che traccia una vera e propria road map politica: «Vogliamo creare sul piano nazionale e locale dei collettivi per un audit dei cittadini con i nostri sindacati e associazioni, con esperti indipendenti, con i nostri colleghi, i vicini, i concittadini. Prenderemo in mano i nostri destini perché lademocrazia riviva».


Tratto da: Sacrifici? No, grazie. Prima, vogliamo la verità sul debito | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/01/10/sacrifici-no-grazie-prima-vogliamo-la-verita-sul-debito/#ixzz1j6Xcyc4j
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!