domenica 30 giugno 2013

In un'economia di guerra i diritti acquisiti non esistono

Mariolino Cannuli e l'economia di guerra

dal blog di Grillo

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L'Italia è di fronte a un baratro, ma il governo è fermo come un paracarro. Letta, dedito al gioco del Subbuteo dove il massimo rischio è la slogatura dell'indice, annuncia, annuncia, annuncia. Capitan Findus sembra la versione aggiornata e minimalista della presentatrice televisiva Mariolina Cannuli (che prego di scusarmi per l'irriverente, per lei, confronto). C'è una calma piatta, come in mare quando non vedi un gabbiano, non c'è un'onda, un refolo di vento prima della tempesta. Che aspettiamo? Siamo falliti e lo neghiamo e affossiamo le imprese con carichi insostenibili come l'aumento dell'anticipo dell'Irap, dell'Ires e dell'Irpef definiti dal ministro dell'Economia Saccomanni "Un prestito dei contribuenti che a livello individuale ha un peso molto soft". Un peso di 2,3 miliardi di euro, soft- soft, una piuma. E' necessaria attuare subito, entro l'autunno, un'economia di guerra.Tagliare le province, portare il tetto massimo delle pensioni a 5.000 euro, tagliare finanziamenti pubblici ai partiti e ai giornali, riportare la gestione delle concessioni pubbliche nelle mani dello Stato, a iniziare dalle autostrade, perché sia l'Erario a maturare profitti e non aziende private come Benetton o, dove questo non sia possibile, ridiscutere le condizioni, eliminare la burocrazia politica dalle partecipate dove prosperano migliaia di dirigenti, nazionalizzare il Monte dei Paschi di Siena, eliminare ogni grande opera inutile come la Tav in Val di Susa e l'Expo di Milano, ridurre drasticamente stipendi e benefit dei parlamentari e di ogni carica pubblica, cancellare la missione in Afghanistan, fermare l'acquisto degli F35. Si potrebbe continuare a lungo. Non c'è più tempo. Le risorse vanno destinate alla defiscalizzazione parziale delle piccole e medie imprese, all'introduzione del reddito di cittadinanza e all'abbattimento del debito pubblico. Quest'ultimo, nonostante una tassazione abnorme, cresce al ritmo di 120 miliardi all'anno. Nel 2013 dovremo collocare 400 miliardi di titoli di Stato (chi li comprerà e a che condizioni?) e intanto si discute di riforme costituzionali per il mantenimento del potere da parte dei partiti e delle lobby. Qualcuno obietterà che si vanno "a toccare" diritti acquisiti, come nel caso delle pensioni d'oro (in Italia sono 100.000 i “super-pensionati” e costano allo Stato italiano 13 miliardi di all’anno per cui vengono utilizzati i contributi pensionistici di ben 2.200.000 lavoratori). I diritti acquisiti non sono contemplati più da un pezzo per gli esodati, per i precari, per chi non prenderà mai la pensione. In un'economia di guerra i diritti acquisiti non esistono più.

IL LATO OSCURO DEI DERIVATI DI STATO

IL LATO OSCURO DEI DERIVATI DI STATO - IL TESORO NON SPIEGA PERCHÉ NEL 2012 HA RINEGOZIATO 32 MILIARDI DI DERIVATI STIPULATI ANNI ADDIETRO

Alessandro Penati: Si “rinegozia” un derivato perché altrimenti dovrebbe essere chiuso in perdita; con la “rinegoziazione” si sostituisce il vecchio derivato con uno nuovo per rinviare le perdite nel tempo. Non è simile al caso Mps?...

Alessandro Penati per La Repubblica
Draghi tra Saccomanni e GrilliDRAGHI TRA SACCOMANNI E GRILLI
Il comunicato del Tesoro in risposta alle rivelazioni di Repubblica sui derivati dello Stato è lacunoso e contiene palesi errori. Esattamente come nel marzo del 2012, quando Bloomberg rivelò che lo Stato aveva pagato 3 miliardi a Morgan Stanley (guidata in Italia, ironia della sorte, da un ex ministro dell'Economia) per la chiusura di un derivato.
Il Tesoro dichiara di non tenere conto del valore di mercato dei derivati stipulati poiché non generano movimenti di cassa, se non a scadenza; di conseguenza, non rientrano nel calcolo del debito pubblico, in accordo coi criteri stabiliti da Eurostat. Nessuno chiede di contabilizzare i derivati come debito, ma si reclama trasparenza sulle perdite potenziali per lo Stato: il valore di mercato dei derivati, infatti, misura la dimensione del debito potenziale, moltiplicato la probabilità che si materializzi.
MORGAN STANLEYMORGAN STANLEY
È come se un'assicurazione non accantonasse riserve considerando i sinistri inesistenti fino al momento in cui deve liquidarne uno. Sarebbe un falso in bilancio. A prescindere dalle regole di contabilità pubblica, un governo deve rendere conto ai cittadini degli impegni che potrebbero gravare sulle loro tasche.
Sono impegni, inoltre, che il Tesoro può dover liquidare prima della scadenza, per esempio se le perdite superano livelli concordati (Termination clause), come nel citato caso di Morgan Stanley.
Il Tesoro perde sui derivati; ma potrebbe guadagnarci. In questo caso, la controparte avrebbe le risorse per pagare (il caso Lehman insegna)? In altre parole, non dovremmo conoscere il rischio controparte per lo Stato Italiano? Il Tesoro non spiega perché nel 2012 ha rinegoziato 32 miliardi di derivati stipulati anni addietro, come documentato da Repubblica.
Si "rinegozia" un derivato perché altrimenti dovrebbe essere chiuso in perdita; con la "rinegoziazione" si sostituisce il vecchio derivato con uno nuovo per rinviare le perdite nel tempo. Non è simile al caso Mps? E chi ha verificato che i valori usati nella "rinegoziazione" non fossero troppo favorevoli alla banca controparte?
Il Tesoro dichiara di stipulare derivati "nell'interesse del Paese" e per "coprirsi dai rischi". Spetterebbe all'opinione pubblica stabilire cosa sia nell'interesse del Paese; ma a prescindere da questo, che lo si compri per "coprirsi" o per "speculare", un derivato equivale sempre a una scommessa: uno vince e un altro perde e paga.
saccomanni-draghiSACCOMANNI-DRAGHI
I derivati, quindi, trasferiscono i rischi tra due scommettitori. Va benissimo per i privati, non per lo Stato, per due buone ragioni. Prima: quando i privati comprano e vendono rischi, ne sopportano le conseguenze economiche; mentre funzionari e governanti impegnano risorse dei cittadini: chi decide quanti e quali rischi prendere, a prescindere dalle motivazioni (anche nobili)?
Seconda: i privati usano derivati per trasferire rischi al di fuori del loro controllo, mentre il Tesoro li usa per prendere posizione su rischi, come il costo del debito pubblico, che dipendono da sue decisioni. Un potenziale conflitto di interessi.
Sorge il dubbio che questo potenziale conflitto sia alla base dell'ostinato rifiuto del Tesoro a fornire una rappresentazione chiara, tempestiva ed esaustiva delle sue posizioni in derivati. Non si darebbero informazioni per evitare imbarazzi.
ministero del TesoroMINISTERO DELL'EURO
Per esempio, il Tesoro giustifica la posizione esistente in derivati per potersi avvantaggiare da un possibile futuro aumento dei tassi a breve: ovvero paga un premio per guadagnare se c'è un forte rialzo dei tassi Bot. E' un segno di sfiducia (si temono difficoltà di collocamento per i Bot), oppure si dà del fesso a chi ha comprato recentemente Bot a tassi così bassi che il Tesoro non ritiene sostenibili?
Oppure è il frutto di un accordo con le banche che hanno venduto i derivati, per non fare sapere le loro posizioni? Inquietante, visto che sono anche grandi operatori del nostro debito pubblico.
L'inspiegabile reticenza del Tesoro alimenta da 10 anni ricorrenti insinuazioni circa l'uso opportunistico di derivati per agevolare il nostro ingresso nell'euro. Basterebbe un poco di trasparenza per spazzarle via. La stessa trasparenza sui derivati che le norme dello Stato, giustamente, impongono ai privati.

Lo Ior torni allo spirito delle origini

LE CONSULTAZIONI DI BERGOGLIO SULLA “BANCA DI DIO”: A RAPPORTO LA FINANZA LOMBARDA (BAZOLI), I CAVALIERI DI COLOMBO E I TEDESCHI

Il Papa vuole fare dello Ior una “banca etica” per i depositi dei religiosi e una fondazione esterna per gli investimenti – Ma non si muove foglia senza il “parere” della finanza che pesa molto in Vaticano – Bergoglio a colloquio con i “banchieri bianchi” lombardi (Bazoli), i tedeschi e i cavalieri di Colombo…

Paolo Rodari per La Repubblica
Il torrione Niccolò V, sede dello Ior  niccolovIL TORRIONE NICCOLÒ V, SEDE DELLO IOR NICCOLOV
Mentre la Commissione sullo Ior istituita dal Papa lavora per fare luce all'interno dell'istituto bancario vaticano oggi in grande difficoltà per le indagini delle procure di Roma e Salerno, il Consiglio della Corona voluto dal Papa per riformare la curia romana, finanze incluse, consulta varie personalità del mondo bancario ed economico alla ricerca di soluzioni concrete per il futuro.
PAPA FRANCESCO JORGE BERGOGLIOPAPA FRANCESCO JORGE BERGOGLIO
Cosa ne sarà dello Ior è decisione che verrà presa definitivamente a ottobre, ma intanto, dai primi pareri sentiti, la strada che sembra aprirsi è del tutto nuova: una riforma degli statuti che porti alla costituzione sia di una «banca etica» che gestisca i depositi degli istituti religiosi e dei singoli uomini di Chiesa, sia di una «fondazione esterna» che gestisca gli investimenti più importanti promuovendo nel contempo iniziative culturali che avvalorino gli investimenti stessi.
CARDINALE TARCISIO BERTONECARDINALE TARCISIO BERTONE
La riforma, in questa chiave, sarebbe l'unica in grado di rispondere concretamente alle attese di Moneyval, il Comitato del Consiglio d'Europa che valuta le misure nazionali per il contrasto del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo. Insieme, questa stessa riforma, comporterebbe un cambio di uomini al vertice che alla luce delle vicende che hanno coinvolto monsignor Nunzio Scarano è secondo alcuni quanto mai attuale. La domanda resta una: può un monsignore di curia operare illecitamente senza che i suoi vertici e i superiori vaticani facciano nulla per impedirlo?
Giovanni BazoliGIOVANNI BAZOLI
Sono tre i mondi economici chiamati a dare un proprio parere. Anzitutto il gruppo lombardo della cosiddetta Finanza Bianca nato nella prima Repubblica attorno a intellettuali e banchieri vicini all'Università cattolica del Sacro Cuore quali Giovanni Bazoli, Angelo Caloia, e ai tempi anche il cardinale Carlo Maria Martini.
Ancora oggi il gruppo è ascoltato in Vaticano. Anche un'area tedesca ascesa durante il pontificato ratzingeriano è stata sentita. Quando la Banca d'Italia sequestrò, nel 2010, 23 milioni di euro depositati dallo Ior su due conti aperti presso il Credito Artigiano, l'istituto bancario trasferì parte dei suoi depositi in Germania. Oltre al neo presidente Ernest von Freyberg, influente è Hans Tietmeyer, economista e banchiere presidente della Deutsche Bundesbank tra il 1993 e il 1999. Infine, le lobby americane.
CARL ANDERSON CAVALIERE SUPREMO DEI CAVALIERI DI COLOMBOCARL ANDERSON CAVALIERE SUPREMO DEI CAVALIERI DI COLOMBO
Fra questi i Cavalieri di Colombo che molto hanno spinto per un pontificato che portasse anzitutto Roma e la curia romana su altri lidi. Non è un caso che proprio due giorni fa Carl Anderson, cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo, nonché membro del consiglio di sovrintendenza dello Ior, il "board" laico che supervisiona le attività della banca vaticana, sia stato ricevuto dal Papa.
PETER WELLSPETER WELLS
Ma oltre ad Anderson c'è Peter Wells, fra i responsabili della segreteria di stato vaticana inserito dal Papa all'interno della stessa Commissione per lo Ior. L'idea condivisa da tutti è che lo Ior torni allo spirito delle origini. Un'istituzione che non lavori più con una logica di speculazione finanziaria ma di vero aiuto ai bisognosi. Fra questi ci sono i tanti religiosi sparsi nel mondo che spesso in condizioni di povertà estrema si spendono per gli ultimi. È per loro che la banca deve sopravvivere, non per altri fini.
L'incontro è passato per lo più inosservato. Eppure è proprio di questa nuova prospettiva che hanno parlato in via ufficiale in un convegno organizzato a maggio dal Pontificio consiglio per la giustizia e la pace, guidato dal cardinale Peter Turckson, e dalla tedesca fondazione Adenauer. L'argomento era fare banca e finanza «per il bene comune».

Anche per gli USA la BCE è terrorista !

Gli USA avrebbero spiato la BCE per anni

Si allarga ora lo scandalo datagate negli USA, il quotidiano Tedesco Der Spiegel sostiene che Washington avrebbe spiato la BCE per anni

Edward-Snowden
Qualcuno comincia a dire che la Presidenza Obama abbia addirittura i giorni contati; al momento questo ci sembra ancora poco probabile, ma se le indiscrezioni del quotidiano Tedesco Der Spiegel venissero confermati, il Presidente degli Stati Uniti sarebbe chiamato a rispondere sulla questione, e immaginiamo avrebbe difficoltà a spiegare al Mondo perchè la NSA ha spiato attraverso cimici e hacker i lavori interni della BCE.
Dalla Germania viene addirittura citata la fonte di questa notizia: un documento ufficiale datato Settembre 2010 diffuso dall’ormai celebre talpa Edward Snowden nel quale si fa esplicito riferimento ad operazioni di spionaggio della Banca Centrale Europea, con accesso illegale al network interno dell’istituto.
Ma come sarebbe avvenuta fisicamente questa grande azione di spionaggio ?
Si sa, un hacker professionista può accedere ad ogni network nel Mondo, a prescindere dalla distanza fisica tra l’hacker e il sistema in cui vuole irrompere. Ma come la mettiamo per le cimici ?
Le cimici sarebbero state piazzate in uffici istituzionali a Washington e nella sede delle Nazioni Unite. Insomma, l’NSA aveva accesso sia alle email di chiunque lavorasse all’interno della BCE, sia alle telefonate (almeno) verso gli USA.
Leggendo l’articolo pubblicato su Der Spiegel si trovano poi altre informazioni abbastanza inquietanti, una su tutte il modo in cui viene chiamata la BCE nel rapporto: “the target” (in Italiano “bersaglio” o “obiettivo”).
Dal Parlemento Europeo sono già arrivate le prime reazioni, ed è probabile che nelle prossime ore si affronti un acceso dibattito a Bruxelles. Martin Schulz (il famoso “kapo” secondo Berlusconi) ha dichiarato che, se quanto detto dovesse essere verificato,questo avrà un severo impatto sulle relazioni tra UE e USA.
Schulz ha anche chiesto agli Stati Uniti di fare chiarezza subito: non si capisce, infatti, come lo spionaggio della BCE possa avere qualcosa a che fare con la motivazione ufficiale utilizzata fino ad ora da Obama per giustificare lo scandalo datagate: il pericolo terrorismo.

Titoli tossici, noi come la Grecia

Titoli tossici, noi come la Grecia (“il manifesto”, 27 giugno 2013)

Inserito da Guido Viale on giugno 30, 2013 – 
Chi o che cosa ha autorizzato i nostri governi a giocare al casinò dei derivati con il denaro degli italiani? Quale regolamento interno, quale legge, quale norma della Costituzione? E perché non se ne può sapere niente? Secondo quanto riferito da la Repubblica (e dal Financial Times) del 26.6, il Tesoro italiano è esposto per 160 miliardi di euro (più di un decimo del PIL italiano) con operazioni sui derivati la cui data di stipulazione non è nota; il governo Monti ne ha rinegoziati nel corso dell’anno scorso per un importo di 31 miliardi, registrando su queste operazioni una perdita potenziale, non ancora giunta a scadenza, di circa 8 miliardi (poco meno dell’importo con cui la ministra Gelmini e, dopo di lei, il ministro Profumo sono riusciti a distruggere sia la scuola che l’Università italiane). Naturalmente il Ministro del Tesoro ha subito smentito ogni rischio, ma quella smentita vale quanto il Ministro: cioè zero. Infatti solo un anno fa, su un’altra partita di derivati del Tesoro si era già registrata una perdita di 3 miliardi, saldata dal governo Monti. Su di essa c’era stata una interrogazione parlamentare dell’IdV e una elusiva risposta – “si tratta di un caso unico e irripetibile” – del sottosegretario Rossi Doria; designato a rispondere non si sa perché, dato che Rossi Doria si occupa di scuola e non di finanza, materia sui cui è lecito supporre una sua totale incompetenza. Ma se tanto dà tanto, sui 160 miliardi di derivati in essere, le perdite “a futura memoria”, che verranno cioè caricate sul bilancio dello Stato nel corso degli anni, per poi dire che gli italiani sono vissuti “al di sopra delle loro possibilità”, potrebbero ammontare a parecchie decine di miliardi di euro.
Ma facciamo un passo indietro: da tre anni ci ripetono che la Grecia ha fatto il suo ingresso nell’euro “truccando i conti” perché, in base a suo indebitamento, non ne avrebbe avuto titolo; di qui i guai – e che guai! – in cui è incorsa successivamente. Successivamente. Perché all’epoca del suo ingresso nell’euro nessuno si era “accorto” di quei trucchi. Poi si è scoperto che a organizzarli era stata la banca Goldman Sachs, allora diretta, per tutto il settore europeo, da Mario Draghi, nel frattempo assurto alla carica di Presidente della BCE, cioè dell’organo preposto a garantire la riscossione di quei debiti contratti in modo truffaldino. E di quei trucchi non si è più parlato. Ma lo stratagemma a cui il governo greco e Goldman Sachs erano ricorsi per truccare i conti era proprio quello di nascondere un indebitamento eccessivo (secondo i parametri di Maastricht) dietro a derivati da saldare in futuro. Nello stesso periodo – o poco prima, cioè con maggiore preveggenza – il governo italiano sembra essere ricorso esattamente allo stesso stratagemma: ufficialmente per “coprire” il debito italiano dai rischi del cambio (allora c’era ancora la lira) e dalle variazioni dei tassi di interesse: i derivati sono stati infatti introdotti nel mondo della finanza come forma di assicurazione contro la volatilità dei cosiddetti mercati; ma, come si vede, la funzione che svolgono è il contrario di ciò che pretendono di essere. E’ comunque del tutto evidente che lo scopo effettivo di quelle operazioni era quello di “truccare” i conti e garantire così anche all’Italia l’ingresso nell’euro. Qui la presenza ricorrente dello stesso personaggio è ancora più dirompente; perché nel periodo che intercorre tra la probabile – non se ne sa ancora molto – sottoscrizione di quei derivati e l’emersione dei primi debiti che essi comportano Mario Draghi è stato direttore generale del Tesoro (l’organismo contraente) dal 1991 al 2001; poi, utilizzando in modo spregiudicato il cosiddetto sistema delle “porte girevoli”, responsabile per l’Europa di Goldman Sachs (una delle banche sicuramente coinvolta in queste operazioni), poi Governatore della Banca d’Italia e poi Presidente della BCE e in questo ruolo uno degli attori più decisi a far pagare agli italiani – e agli altri infelici popoli vittime degli stessi raggiri – la colpa (in tedesco Schuld, che, come ci ricordano i ben informati, vuol dire anche debito) di essere vissuti “al di sopra delle proprie possibilità”.
BCE
Non basta: ogni sei mesi, ci informa sempre Repubblica, il Tesoro è tenuto a trasmettere una relazione sullo stato delle finanze pubbliche, comprensivo anche dei dati sull’esposizione in derivati, alla Corte dei Conti. Ma in venti anni o quasi, questa si è accorta solo ora dei rischi connessi a queste operazioni e, per saperne di più, ha inviato la Guardia di Finanza a perquisire le stanze del Tesoro; che però si è rifiutato di esibire la relativa documentazione (di qui qualche talpa che ha fatto verosimilmente scivolare nella redazione di Repubblica le 29 pagine di quella relazione). Ci ricorda qualcosa tutto ciò? Sì, ci ricorda da vicinissimo le recenti vicende del Monte dei Paschi di Siena i cui dirigenti – oggi in carcere o sotto inchiesta perché considerati dalle Procure di Siena e Roma degli autentici delinquenti – sono riusciti a nascondere alla vigilanza della Banca d’Italia (oh, che combinazione!) una esposizione debitoria incompatibile con il regolare funzionamento di una banca, nascondendola sotto degli onerosissimi derivati, che hanno tenuto rigorosamente nascosti per anni. Il casinò dei derivati accomuna così le istituzioni di governo del paese alle banche truffaldine (per ora MPS; ma chissà quante altre si trovano nelle stesse condizioni, e non solo in Italia. La presenza di Mario Draghi al vertice della BCE non è certo fattore di tranquillità).
Per saperne di più, cioè per capire in che mani siamo finiti, in che mani ci hanno messo i governi che si sono succeduti negli ultimi 30 anni (cioè da quando la teoria liberista e il pensiero unico la fanno da padroni e, in termini pratici, da quando è stato portato a termine il famigerato “divorzio” tra Tesoro e Banca centrale che ha messo le politiche dei governi in balìa della finanza: leggi degli speculatori internazionali) basta leggere la sinossi di come funziona il casinò dei derivati che, sempre su Repubblica del 26.6 ha fatto Luciano Gallino.
“Nel mondo – spiega Gallino – circolano oltre 700 trilioni di dollari (in valore nominale) di derivati [cioè 700mila miliardi, oltre 10 volte il valore presunto del prodotto lordo mondiale, nota mia], di cui soltanto il 10 per cento, e forse meno, passa attraverso le borse. Il resto è scambiato tra privati, come si dice, “al banco”, per cui nessun indice può rilevarne il valore”. Ma aggiunge, anche di quel dieci per cento scambiato nelle borse, a definirne il valore concorre solo il 40 per cento [cioè il 4 per cento degli scambi complessivi, nota mia]. “Di quel 40 per cento, almeno quattro quinti hanno finalità puramente speculative a breve termine…Di tali transazione a breve, circa il 35-40 per cento nell’eurozona e il 75-80 per cento nel Regno Unito e in USA si svolgono mediante computer governati da algoritmi…che operano a una velocità anche di 22mila operazioni al secondo… Ne segue che chi parla di “giudizio dei mercati” [praticamente tutti gli esponenti dei mondi politico, imprenditoriale, manageriale e accademico, nota mia] dovrebbe piuttosto parlare di “giudizio dei computer”. “Macchine cieche e irresponsabili – aggiunge Gallino – opache agli stessi operatori e ancor più ai regolatori. E per di più, inefficienti”. Ma molto efficienti però, aggiungo io, nel trasferire ricchezza dai redditi da lavoro e dalla spesa sociale ai profitti e alla rendita, compito che nel corso degli ultimi trent’anni hanno svolto egregiamente. E non senza che gli addetti alla “regolazione” dei mercati, siano essi manager o politici, o entrambe le cose grazie al sistema delle “porte girevoli”, ci abbiano messo tutta la loro scienza e il loro potere per portare questo trasferimento fino alle estreme conseguenze: quelle che oggi possiamo vedere esposte in vetrina nella catastrofe della Grecia. Ma allora, perché continuare a rimaner sottomessi a un sistema simile? Non è ora trovare la strada per tirarsene fuori al più presto?

L'esplosione delle rivolte sociali

www.resistenze.org - osservatorio - mondo - politica e società - 25-06-13 - n. 459

La geografia delle rivolte sociali

Sergio Cararo | contropiano.org

25/06/2013

Dai Pigs ai Brics. L'esplosione delle rivolte sociali coinvolge soprattutto i paesi emergenti. Il cambio di passo nell'economia mondiale aumenta le aspettative lì dove si cresce ma congela il conflitto dove è aumentata la paura di perdere tutto. E' ipotizzabile un punto di convergenza della rivolta sociale?

Le rivolte popolari che hanno squassato prima il Medio Oriente e adesso paesi emergenti come Brasile, Turchia, Sudafrica, interrogano in modo decisivo sulle prospettive della lotta nel classe nel mondo contemporaneo.

La fortissima polarizzazione tra i centri imperialisti e i paesi emergenti, provoca effetti rilevanti nelle periferie interne come i paesi europei Pigs, dove le istituzioni del capitalismo finanziario e multinazionale impongono un brusco arretramento delle condizioni sociali e delle aspettative generali. Aspettative che, al contrario, non potevano che crescere nei paesi emergenti che vedono aumentare la loro quota nell'economia mondiale e i ritmi di crescita. Il problema è che le classi dominanti dei Brics non si sottraggono al dominio del capitalismo e della egemonia della finanziarizzazione, frustrando così le aspettative accresciute delle classi sociali che sono venute affermandosi dentro i nuovi livelli economici. Lo conferma il Brasile dove il PT (Partito de los Trabahladores) diventato partito di governo non si è sottratto ad una certa marcescenza e corruzione che viene denunciata nelle manifestazioni e dai movimenti sociali.

Percentuale sulla produzione manifatturiera mondiale

 1991-19922011-2012
Stati Uniti21,815,4
Giappone19,49,6
Germania9,26,1
Francia5,02,9
Italia5,53,1
TOTALE50,943,1
Cina4,121,4
Brasile2,12,9
India1,23,3
Russia0,22,8
Corea del Sud2,42,1
TOTALE10,032,7
Da questa tabella mancano paesi importanti come Turchia e Sudafrica che possiamo ben considerare come economie emergenti.

La prima ha guadagnato diversi posti nella collocazione nelle filiere mondiali di produzione. Era tredicesima nel 1995 per valore aggiunto dei beni finali nelle esportazioni nell'area euro ed è salita all'ottavo posto nel 2009 (Bollettino mensile della Bce, maggio 2013). I turchi per anni hanno lavorato fino a 50 ore a settimana in previsione di una redistribuzione di reddito, diritti e qualità della vita che però non è arrivata (o è arrivata solo in piccola parte) e che ora è assai improbabile che arrivi di fronte alla crisi per ora ancora parziale di una bolla speculativa incentrata su edilizia e grandi opere.

Il secondo, Sudafrica, pur con tutte le sue arretratezze, rimane la maggiore potenza economica del continente africano (52 milioni di abitanti e un Pil di 408 miliardi di dollari nel 2011), insidiato dalla Nigeria ricca di petrolio e con il doppio degli abitanti ma priva di una struttura industriale come quella sudafricana. Le aspettative del dopo apartheid sono state ampiamente disattese sul piano economico-sociale con i programmi di crescita di ispirazione liberista del periodo M'Beki. L'attuale leadership di Zuma non ha avviato controtendenze ed anzi ha accentuato lo scontro sociale ad esempio con i minatori ma anche per i proletariato urbano delle baraccopoli. La morte di Mandela potrebbe togliere l'ultimo elemento "unificante" per la tenuta sociale, almeno sul piano dell'immagine e della memoria storica.

Anche in questi due paesi sono cresciute quelle che piuttosto arbitrariamente vengono considerate come "classi medie", trattandosi in larga parte di lavoratori salariati. Ma questa crescita quantitativa di lavoratori da un lato riduce la marginalità sociale dovuta all'economia informale e di pura sussistenza, dall'altro alimenta scolarizzazione di massa e dunque aspettative generali crescenti delle nuove generazioni. Un fenomeno analogo, questo, ai paesi arabi dove le rivolte della Primavera araba hanno visto protagonisti i giovani disoccupati ma scolarizzati.

Moises Naim, direttore della rivista Foreign Policy, in un interessante articolo (La Repubblica del 24 giugno) prova ad analizzare così le ragioni e la geografia delle rivolte sociali in corso. "In principio fu la Tunisia, poi il Cile e la Turchia. E ora il Brasile. Che cos'hanno in comune le proteste di piazza in Paesi così diversi tra loro? Varie cose… e tutte sorprendenti" afferma Naim. A suo avviso le cause scatenanti sono:

1. Piccoli incidenti che diventano grandi. In tutti questi casi, le proteste sono partite da avvenimenti locali che inaspettatamente si sono trasformati in un movimento nazionale.

2. I Governi reagiscono male. Nessuno dei governi dei Paesi dove sono scoppiate queste proteste è stato in grado di anticiparle. Gli eccessi della polizia o dei militari hanno finito per aggravare ulteriormente la situazione.

3. Le proteste non hanno capi né una catena di comando. Queste mobilitazioni di rado hanno una struttura organizzativa o leader chiaramente definiti.

4. Non c'è qualcuno con cui negoziare o qualcuno da incarcerare. La natura informale, spontanea, collettiva e caotica delle proteste disorienta i governi.

5. È impossibile prevedere le conseguenze delle proteste. Nessun esperto è riuscito a prevedere la primavera araba.

6. La prosperità non compra la stabilità. La principale sorpresa di queste proteste di piazza è che sono avvenute in Paesi di successo, dal punto di vista economico.

Quest'ultimo punto ci riporta alla riflessione iniziale. Se è vero che una maggiore prosperità non porta a maggiore stabilità, è anche vero che il conflitto sociale si fa più aspro e coinvolgente nei paesi in crescita economica che in quelli dove i diktat e le misure imposte ad esempio dalla Troika - come i paesi euromediterranei Pigs - hanno determinato sia una riduzione della crescita economica che delle aspettative generali. La paura di perdere ciò che è rimasto del modello sociale europeo più che mobilitare smobilita il conflitto sociale. Può essere questa una parziale risposta al perché nei paesi europei non ci sono rivolte sociali contro la brutalizzazione imposta da Unione Europea, Fmi e Bce. Ci sono certo resistenze sociali e sindacali importanti, in Grecia e Spagna più che in Italia, ma nulla di somigliante a quanto stiamo vedendo in Brasile o Turchia o a quanto abbiamo visto nei paesi arabi.

Nei paesi europei il controllo sociale e il ruolo di pompieri svolto da apparati istituzionali, sindacati ufficiali e partiti, anche di sinistra, è sicuramente più forte. Ma è indubbio che la contraddizione tra aspettative generali crescenti e miseria messa a disposizione dalle classi dominanti appaia oggi più forte nei paesi emergenti che nelle periferie interne dei centri imperialisti.

Questa brevissima disamina ci pone diverse questioni rilevanti e strategiche:

1)  In primo luogo è evidente la tendenza del capitalismo ad accentuare la "proletarizzazione" sia attraverso l'arretramento dello status delle classi medie e del lavoro salariato nei paesi capitalisti (es: i Pigs europei), sia attraverso la maggiore industrializzazione delle economie periferiche che sono state integrate dalle multinazionali nelle filiere mondiali della produzione. I salari e gli standard di vita diminuiscono nei paesi europei marginalizzati dalla gerarchizzazione nell'Eurozona intorno alla Germania o dell'area del dollaro intorno agli USA, aumentano invece nei paesi emergenti, inclusi i paesi dell'Europa dell'Est recentemente integrati nelle filiere produttive che fanno capo al nucleo centrale europeo.

2)  La crisi sistemica del capitalismo sta però scrollando tutta la geografia economica mondiale. I trend crescenti dei paesi emergenti - i Brics e non solo - stanno entrando in pesante sollecitazione anche sotto la spinta della centralizzazione finanziaria e industriale intorno ai poli imperialisti e alle loro principali aree monetarie (dollaro ed euro). Quando il gioco si fa duro le banche pretendono tutto (vedi l'arrogante documento della JP Morgan sui paesi euromediterranei) e l'abbassamento dei salari e degli standard sociali anche nei centri imperialisti rende reversibili processi come la delocalizzazione produttiva avviando controtendenze come la re-internazionalizzazione

3)  Il conflitto e le rivolte sociali seguono così dinamiche divergenti. Aumentano lì dove ci sono aspettative generali crescenti, diminuiscono lì dove ci sono aspettative generali in caduta libera. Ma in entrambi i casi il modello capitalista mostra tutti i suoi limiti. Non può far crescere oltre un certo limite le aspettative nei paesi emergenti, le riduce brutalmente in quelli a capitalismo avanzato. Una situazione eccezionale per riaffermare che le alternative al capitalismo - a partire dalla pianificazione economica - possono essere le sole a poter rappresentare una prospettiva di emancipazione delle classi sociali subalterne sia nei paesi emergenti Brics, sia in quelli europei Pigs.

4)  Se questo è vero, il terreno per le forze rivoluzionarie torna ad essere fertile come non lo era da decenni. Per seminare e raccogliere non basta però la spontaneità del movimento sociale né l'inerzia o le consuetudini dei partiti della sinistra eredi dell'abbandono dell'ipotesi rivoluzionaria da parte dei comunisti tra gli anni cinquanta e sessanta dello scorso secolo. Il Socialismo nel XXI Secolo (e non del XXI Secolo) può rientrare nell'agenda politica e storica dell'umanità con rinnovata credibilità. Molto dipende anche dalle soggettività e dalla maturità che si riuscirà a mettere in campo, in ogni singolo paese e in coordinamento tra di essi.

sabato 29 giugno 2013

Conti correnti, allarme prelievo forzoso


Conti correnti, allarme prelievo forzoso. Libero: “Il governo ci pensa”

Pubblicato il 29 giugno 2013 10.12 | Ultimo aggiornamento: 29 giugno 2013 
di Redazione Blitz

ROMA – Allarme conti correnti, in arrivo ci potrebbe essere un prelievo forzoso. Lo scrive Maurizio Belpietro nel suo editoriale di sabato sul quotidiano Libero. Il governo Letta, avverte Belpietro, non ha annullato le tasse, le ha solo rinviate: ciò vorrebbe dire che quando il salasso non sarà più rinviabile, il premier e la sua squadra di governo potrebbero optare per una soluzione come quella adottata da Giuliano Amato nel 1992: ovvero rastrellare risorse attraverso un prelievo forzoso sui conti correnti. Un po’ come quello che è successo a Cipro la scorsa primavera.
Di gossip ministeriale si tratta, ma non è fuori luogo domandarsi, che cosa accadrà in autunno quando i contribuenti si troveranno dinanzi allo scoglio delle imposte sin qui rinviate: l’Imu sulla prima casa e il rincaro dell’Iva al 22%, senza tralasciare la Tares. Secondo i conti fatti da Franco Bechis, sullo stesso quotidiano nei giorni scorsi, se i tempi migliori in attesa dei quali il governo vara i suoi decreti a colpi di rinvii non dovessero arrivare, la voragine nelle casse dello Stato sprofonderebbe fino a 10 miliardi di euro.
La soluzione sarebbe quella di dare un taglio deciso alla spesa pubblica ma, osserva Belpietro, “ridurre la spesa comporta una fatica bestiale, bisogna scontentare qualcuno e sopportarne le proteste, che di solito sono chiassose. Insomma, roba da nervi saldi e non da persone che si impressionano subito e al primo strillo fanno retromarcia”.
Lo scenario prospettato da Belpietro è alquanto pessimista:
“Per quanto ci si provi, né sul fronte delle spese pazze né su quello degli immobili lasciati andare in rovina c’è verso di trovare un euro. Ci ha provato Tommaso PadoaSchioppa quando faceva il ministro dell’Economia di Prodi, hanno ritentato Tremonti e anche il Monti senza tre (quello che si sente tanto apprezzato all’estero e sottovalutato in patria), ora ci si sta scornando Saccomanni, ciò nonostante il risultato non cambia”.
E dunque si torna alla domanda di partenza: cosa accadrà dopo la pausa estiva quando il nodo balzelli verrà al pettine? Belpietro riferisce di drammatici rumors che circolano in ambienti ministeriali:
Il passaparola riferisce infatti che al momento giusto, quando la situazione si sarà ingarbugliata per bene e bisognerà porvi rimedio in tempi brevi; quando il Cavaliere grazie ai processi sarà alle corde e ridotto al silenzio dagli arresti domiciliari; cioè quando il Paese sarà cotto al puntino da essere servito in tavola, ecco arrivare la madre di tutte le soluzioni, ovvero l’arma letale per il ceto medio, vale a dire il prelievo forzoso sui conti correnti.
Belpietro rievoca scenari apocalittici del governo Amato:

La misura non è una novità per gli italiani, perché in passato fu usata da Giuliano Amato per far quadrare i conti. Senza dir niente a nessuno e profittando delle tenebre, l’allora presidente del Consiglio non guardando in faccia a nessuno scippò il sei per mille. Gente che doveva l’indomani pagare il mutuo, altri che si apprestavano a un acquisto e per questo avevano accumulato qualche risparmio depositandolo in banca, poveri pensionati che avevano incassato la liquidazione dopo una vita di lavoro, tutti si ritrovarono dalla sera alla mattina un po’ più poveri. La storia si ripete? Può darsi, almeno a sentire gli spifferi che girano in certi palazzi romani.
E mette in guardia da eventuali smentite da parte del governo,
Certo, conferme non se ne trovano e c’è da giurare che oggi, dopo la nostra anticipazione, fonti governative si incaricheranno di smentire l’ipotesi, giurando e spergiurando che nulla di tutto ciò è allo studio. Sarà. Ma per parte nostra, avessimo due euro, staremmo in campana. Risparmiatore avvisato, mezzo salvato.

I Comuni gestiscano l’emergenza: emettano moneta


I Comuni gestiscano l’emergenza: emettano moneta

Avrete presente la peggior cinematografia “catastrofista” d’oltreoceano. Quella con alluvioni, terremoti, asteroidi, disastri nucleari. In ognuna di quelle pellicole i registi hanno voluto deliziarci con una scena onnipresente: il plotone d’esecuzione che passa per le armi gli sciacalli che, approfittando dell’anarchia sociale, saccheggiano case e negozi. Bene, per una volta non è fantascienza: i provvedimenti d’emergenza, le legislazioni d’emergenza esistono davvero.
La legge sull’ordinamento penitenziario n. 354 del 1975, all’articolo 41-bis applicato nel 1986 dalla cosiddetta “legge Gozzini”, gestiva una situazione d’emergenza: al fine di evitare i contatti – dentro e fuori dal carcere – con altri detenuti appartenenti alla medesima rete criminale, ai reclusi condannati per reati di mafia, terrorismo e altri reati estremamente gravi venivano in via eccezionale interdetti i colloqui, la permanenza all’aria aperta, la corrispondenza. Il regime carcerario era per costoro talmente severo al punto di spingere le istituzioni europee a contestare alle autorità italiane il ricorso alla tortura e a trattamenti inumani e degradanti.
La “legge Reale” (n. 152/1975) introduceva invece disposizioni speciali a tutela dell’ordine pubblico prevedendo la possibilità di custodia preventiva anche in assenza di flagranza di reato e permettendo da parte della forza pubblica l’utilizzo delle armi non solo in caso di resistenza ma anche al fine di prevenire determinati reati quali ad esempio quelli di terrorismo.
L’articolo 32 della Carta costituzionale sancisce il sacrosanto principio secondo cui nessuno possa essere obbligato a un determinato trattamento sanitario. Prevede però che a questa regola si possa per legge derogare. Anche qui si tratta di casi di emergenza: epidemie o casi di patologie mentali che possono mettere a repentaglio  la salute pubblica.
La stessa Organizzazione delle Nazioni Unite, che nel 1966 volle regolamentare attraverso una Convenzione i diritti civili e politici, stabilì che ai principi contenuti in quel solenne Atto si potesse derogare in virtù di uno “stato di emergenza”.
Gli esempi riportati dimostrano quindi quanto non solo sia possibile derogare dalla legislazione ordinaria in caso di necessità cogente, ma anche che tale deroga possa addirittura andare a operare nei settori più delicati e comunemente “intangibili” dell’organizzazione della vita civile: la privazione della libertà personale, la violenza legittima, il diritto alla salute, i diritti politici.
Ora il busillis sta tutto nell’individuare in quali casi si possa parlare di situazione d’emergenza. La attuale degenerazione sociale causata da quella che viene eufemisticamente definita “crisi” economica può essere considerata in tale fattispecie? Ragioniamo in prima istanza in termini di pubblica sicurezza: i reati violenti di natura patrimoniale, indotti dalla spasmodica ricerca di denaro di sempre più larghe fasce di popolazione che ne sono state private, stanno subendo un incremento esponenziale. Senza volerci addentrare in dati statistici, l’allarme è tangibile per chiunque viva in una qualunque città italiana; la stampa riporta tali eventi a tamburo battente, il senso di insicurezza sul territorio è sempre più tangibile. Tale situazione inoltre, in determinate zone del Paese, porta fiumi d’acqua al mulino delle organizzazioni criminali che spesso vengono definite il pericolo numero uno per le istituzioni e per la convivenza sociale.
Parliamo poi della questione dei suicidi. La morte auto-inflitta non è comunemente considerata (per via di una certa censura e per una diffusa ignoranza in materia) un fenomeno emergenziale. Nulla di più sbagliato. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2000 ha diffuso dei dati che parlano di una morte per suicidio ogni 40 secondi e di un tentativo di suicidio ogni 3 secondi; per rendere l’idea, ciò significa che muoiono suicidi più uomini di quelli che perdono la vita in tutti i conflitti armati della Terra e in tutti gli incidenti stradali. E si badi: sono dati del 2000, di molto precedenti all’attuale esasperazione della crisi economica che è stata tristemente caratterizzata da un incremento esponenziale del fenomeno. La stessa OMS ha ravvisato nel suicidio un’incidenza sociale tale da istituire un apposito Istituto di prevenzione, il Supre.
I suicidi e i reati violenti di natura patrimoniale debbono quindi essere iscritti, in virtù di incontrastabili dati statistici e di affermati studi sociali, nella categoria delle situazioni di emergenza.
Quale conseguenza deve derivare, in contesto istituzionale, da questa affermazione? Semplice: che in ragione della situazione emergenziale si possa e si debba derogare alla legge ordinaria e ai trattati al fine di porne rimedio, o comunque di arginarla. Un valido strumento d’azione potrebbe essere ad esempio quello dell’emissione, da parte dei Comuni, di uno strumento monetario alternativo e complementare all’Euro, per venire incontro alle esigenze vitali di sopravvivenza economica della popolazione. A questa ipotesi viene comunemente contrapposta la norma enunciata dal Trattato sull’Unione Europea per cui solo alla BCE è consentita l’emissione monetaria. Ma è proprio quanto inizialmente esposto che dovrebbe indurre la autorità a ritenere di dover derogare da questa disposizione internazionale in virtù di una situazione di necessità ed estrema urgenza, una situazione di emergenza sociale.
I Comuni hanno teoricamente il potere di imporre questa linea? Guardiamo nel dettaglio. “Al Comune spettano tutte le funzioni che riguardano la popolazione ed il territorio, in particolare è il Comune stesso che deve farsi carico delle esigenze nascenti in determinati settori specificamente delineati dal dettato normativo”.  A conferma di quanto sopra infatti, l’articolo 112 del TUEL enuncia che: “Gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”. Queste ampie funzioni che come abbiamo visto vengono in diversi modi attribuite all’ente comunale, comportano uno serie di problematiche: a) in primo luogo sono frequenti le controversie circa la definizione dei confini dei ruoli tra i livelli di governo in alcuni settori chiave quali, ad esempio, quello della tutela della salute, governo del territorio e dell’ambiente nonché in tema di servizi sociali. b) In secondo luogo risulta problematico delineare il rapporto tra le nuove competenze attribuite al Comune e le effettive risorse che al Comune stesso vengono messe a disposizione. Tutto questo in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione il quale prevede per i Comuni (e Province, Città Metropolitane e Regioni) autonomia finanziaria di entrata e di spesa, tributi ed entrate propri, compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio nonché un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
Prevede altresì il medesimo articolo che le risorse di cui sopra consentono al Comune di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Inoltre l’articolo 7 del Decreto Legislativo 112/1998 prevede la “devoluzione alle regioni e agli enti locali di una quota delle risorse erariali tale da garantire la congrua copertura (…) degli oneri derivanti dall’esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti nel rispetto dell’autonomia politica e di programmazione degli enti; in caso di delega regionale agli enti locali, la legge regionale attribuisce ai medesimi risorse finanziarie tali da garantire la congrua copertura degli oneri derivanti dall’esercizio delle funzioni delegate, nell’ambito delle risorse a tale scopo effettivamente trasferite dallo Stato alle Regioni”. Dal dettato dell’articolo 54 TUEL emerge altresì che il Sindaco, sempre nella sua funzione di ufficiale di Governo: emana atti in materia di ordine e sicurezza pubblica, svolge funzioni in materia di polizia giudiziaria, vigila sulla sicurezza e l’ordine pubblico, adotta Ordinanze contingibili ed urgenti in caso di pericolo per l’incolumità dei cittadini.
E’ necessario ricordare inoltre che il Sindaco opera come Ufficiale di Governo anche relativamente ad altre funzioni sulla base di norme di settore (ad esempio in base alla Legge 833/78 in materia di sanità). Proprio in merito alle funzioni svolte quale Ufficiale di Governo è utile svolgere qualche breve considerazione. Prima di tutto occorre chiarire che il Sindaco che esercita le funzioni di Ufficiale di Governo o di autorità sanitaria non è un organo del Comune, ma dello Stato. Tale principio viene chiaramente sostenuto dalla giurisprudenza, ultimamente si è pronunciata in proposito la Corte di cassazione. In tema di poteri e funzioni del Sindaco la giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi più volte; punto di notevole interesse è quello relativo al potere di ordinanza del Sindaco medesimo. Circa tale aspetto, il Consiglio di Stato ribadisce che: “… i presupposti che si richiedono per l’adozione dei provvedimenti contingibili ed urgenti, da parte della massima Autorità comunale, sono – ai sensi dell’art. 38 comma 2, l. 142/1990 – da un lato, l’impossibilità di differire l’intervento ad altra data in relazione alla ragionevole previsione di danno incombente (donde il carattere dell’urgenza); dall’altro, l’impossibilità di provvedere con gli ordinari mezzi offerti dalla legislazione (donde la contingibilità)”.
Alla luce di quanto sopra i Sindaci possono operare con provvedimenti (ordinanze) contingibili ed urgenti in materia di sanità e sicurezza dotandosi di strumenti straordinari rispetto a quelli previsti dalla legislazione. Lo strumento monetario previsto dalla legge (L’Euro) può essere affiancato da uno strumento monetario alternativo e “straordinario” emesso dai Comuni, al fine di prevenire problemi di salute pubblica “mentale” dovuti alla crisi monetaria ed alla angoscia sociale che sono le cause di problemi di sicurezza pubblica quali gesti estremi violenti che potrebbero coinvolgere la comunità (suicidi, esplosioni, messe a fuoco, stragi ) ed evitare l’incremento del crimine dovuto alla affannosa ricerca di soldi.
Va infine evidenziato che questa “moneta convenzionale” è perfettamente compatibile col sistema monetario internazionale, perché  considera solo aspetti di diritto privato (cioè la proprietà della moneta e la posizione di creditore di debitore), come tali di stretto diritto interno e del tutto irrilevanti per il diritto internazionale. Il progetto è altresì perfettamente compatibile col trattato di Maastricht perché  rispetta l'autonomia della Banca centrale europea.
Il presente vuole quindi anche essere un appello ai Sindaci e ai Comuni italiani perché adempiano al proprio dovere di messa in atto di tutte le condizioni possibili che possano tutelare la salute dei cittadini e lo svolgimento ordinato della vita civile, attingendo all’ampia produzione legislativa e alla consolidata giurisprudenza che li autorizzano in questo senso. Chiaramente, occorrono Sindaci e Amministrazioni comunali con gli “attributi”, che non si tirino indietro dinanzi alle loro responsabilità.
Durante le campagne elettorali, ognuno di loro ha detto di avere a cuore il destino dei loro cittadini. Vediamo se, ora, è vero.

Gruppo per l’organizzazione del Convegno Auritiano
convegno28settembre@yahoo.it 
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PMI: il waterboarding d'Enricoletta


Letta e l'elefante sott'acqua

dal blog di Grillo
letta_pmi.jpg
Un'estate ero al mare quando avvertii delle mani poderose, implacabili, sulle mie spalle. Qualcuno mi spinse sott'acqua. Cercai di divincolarmi per uno, due minuti, senza riuscirci. Dopo molti inutili tentativi, preso dall'angoscia, stavo per rassegnarmi alla mia sorte ma, per incanto, chi mi voleva morto lasciò la presa. Riemerso lo vidi. Non lo conoscevo. Rideva, ma guardandomi cambiò espressione. "Scusa - mi disse - era uno scherzo, pensavo fossi il mio amico Alberto". Capitan Findus Letta è così. Quando vede una piccola media impresa la affoga, ma per scherzo, come si fa tra amici. Il problema è che lo scherzo non gli riesce mai e l'impresa muore per mancanza d'aria. L'ultima stangata del Nipote dello Zio che annegherebbe un elefante è l'anticipo di 2,6 miliardi di euro per l'aumento degli acconti di fine anno. Sale dal 99 al 100% l'acconto dell'Irpef, dal 100 al 101% quello dell'Ires e dal 100 al 110% quello dell'Irap. Una raffinata tortura dell'acqua, un waterboarding, una forma di annegamento controllato su misura per le imprese. Il problema delle PMI è la cassa, la liquidità, l'argent, i danèe. Le banche non fanno credito impegnate come sono a comprare titoli di Stato italiani. Lo Stato non rimborsa i crediti delle aziende arrivati a circa 130 miliardi. I clienti dilatano i tempi di pagamento a 120, 180 giorni, quando va bene, perché, quando va male, i clienti falliscono e il credito diventa di fatto inesigibile. Il governo però ha assoluto bisogno di soldi per rimandare l'Iva e l'Imu a data da destinarsi. Cosa di meglio allora di un salasso alle imprese invece di tagliare costi inutili? La crisi delle piccole e medie imprese sta facendo crollare il gettito fiscale, che necessita di circa 800 miliardi all'anno, su cui si regge l'Italia. Cosa vuoi di più dalla vita e da Capitan Findus? Una spinta sott'acqua?

venerdì 28 giugno 2013

Lo stato può creare moneta senza debito


La follia del DEBITO PUBBLICO è un'invenzione recente

banchieri-popolo.jpgL'idea che lo stato si debba indebitare con moneta che lui stesso crea e poi milioni di contribuenti debbano essere tosati per pagare gli interessi del Debito Pubblico è stata inventata solo di recente. Nessuno si è mai sognato, per tremila anni, una cosa del genere, prima di oggi.
Nella storia lo stato che si indebita in modo colossale con moneta che lui crea e viene schiacciato da interessi e poi ha default, sacrifici, tasse, depressione è un fenomeno creato solo dagli anni '70 (inizialmente in Sudamerica).
Come idea era sorta a metà '800, ma allora lo stato aveva una spesa pubblica minima, intorno al 5% del PIL al massimo (salvo che durante la guerra), per cui anche quando aveva deficit non era un vero problema.
Il meccanismo del debito pubblico e interessi, che adesso a noi viene descritto come normale, fino a poco tempo fa incontrava tremende resistenze (di cui una delle tantissime testimonianze è l'articolo firmato assieme da Thomas Edison e Henry Ford sul New York Times nel 1922). Ma qualunque pensatore occidentale degli ultimi 2 mila anni troverebbe assurdo e folle che tutta l'economia giri intorno al problema dello stato che deve pagare montagne di interessi con moneta che lui stesso può creare. 

Nell'800 ci furono scontri violentissimi su questo tema. In America, ad esempio,William Jennings Bryan diventò candidato presidenziale per quattro volte e arrivò vicino a vincere un paio di volte, avendo come programma in pratica liberare lo stato e gli agricoltori dalla schiavitù del debito tramite il "free silver".
Jennings Bryan voleva la moneta d'argento, che era molto abbondante, in mano allo stato, contro il Gold standardche volevano i banchieri perchè l'oro era scarso e quindi se ti indebitavi dovevi ripagare in oro e vincevano i creditori e la deflazione. [Se un governo può creare mille miliardi di dollari dal nulla, allora perchè i banchieri si prendono i nostri soldi con le tasse?].
Nel 1907 William Jennings Bryan tenne alla convention di Chicago il più famoso discorso della politica americana di questo secolo, quello sul "Crocifiggere sulla Croce d'Oro", crocifiggere gli agricoltori e lavoratori americani come Cristo sulla croce del Gold Standard. Jennings Bryan creò una tale emozione e frenesia alla convenzione del partito che gli vale la nomina immediata come candidato presidenziale.

 Per batterlo dovettero mettersi assieme i vari RockfellerMorganKuhn Loeb,Warburg, gli interessi finanziari, che spesero dieci volte di più per far vincere l'altro candidato. Ma la forza del discorso di Jennings Bryan fu tale che per altre tre volte diventò candidato presidenziale, fuori dai partiti ufficiali, come populista. Per un secolo il movimento populista in America ebbe sempre come tema economico centrale LA MONETA e riuscì a tenere a bada il partito della finanza, (si vede che una volta senza TV e cinema la gente era più intelligente).
Negli anni '20 e anni '30 questa opinione, che lo stato non debba indebitarsi a interesse e debba usare la propria moneta senza interessi a favore dell'economia e della comunità, era ancora maggioritaria in molti paesi e dibattuta ovunque, anche nella Teoria Generale di Keynes, dove parla di Silvio Gesell ad esempio.
In Germania un ingegnere diventato economista, Gottfried Feder, nel 1919 teneva conferenze sulla "Zinsknechtschaft", la schiavità dell'interesse" e un reduce e disoccupato austriaco lo sentì parlare e fu fulminato dalle sue teorie. Insieme con altri due o tre formarono il "partito dei lavoratori tedeschi" (poi rinominato con un nome diventato noto) di cui Feder creò il programma economico e quando scoppiò la crisi degli anni '30, la Depressione e ci furono sette milioni di disoccupati vinsero le elezioni e andarono al potere.
Feder centrò tutto il programma economico sul fatto che lo stato si doveva finanziare senza interessi e senza debito per sostenere l'economia e il welfare. Senza la sua soluzione per la moneta l'austriaco non sarebbe andato al potere e non avrebbe avuto il successo che lo rese un semidio per i tedeschi. Una volta adottata la loro politica raddrizzò infatti la situazione in quattro anni, dal 1933 al 1937, rendendo l'ex-pittore e reduce austriaco il politico più popolare dell'epoca (fino a quando non invase l'URSS e per sradicarlo si misero assieme l'Impero Britannico, l'America e l'URSS).
Gli esempi di William Jennings Bryan e di Gottfried Feder dimostrano che questa è un idea esplosiva, quando la gente viene esposta all'idea dello stato che può creare moneta senza debito, a fini di benessere pubblico, reagisce come se gli fosse rivelato un Vangelo e ti segue in massa. La cosa incredibile è che ora invece si da per scontato tutto il contrario, che sia normale indebitare lo stato con la moneta che lui stesso crea e poi soffocare l'economia di tasse, un congegno che ha preso piede per la prima volta veramente tra il 1970 e il 1980. [Fonte - Postato in Società - Economia].

04 febb