Quasi due anni di carcerazione preventiva. Un tentativo di suicidio. Un fuga dall'ospedale dove era piantonato solo per rilasciare un'intervista a SkyTg24 per dichiararsi "un perseguitato". E ora, dopo oltre un lustro, assolto perché il fatto non sussiste. Condannato a sei anni di reclusione in primo grado, l'immobiliarista Danilo Coppola, uno dei protagonisti dell'estate dei furbetti del quartierino, quella delle scalate alle banche, è stato assolto con formula piena in appello. Una sentenza che arriva dopo che già la Cassazione aveva riabilitato l'imprenditore romano annullando il fallimento della Micop. Proprio quello che aveva portato all'arresto di Coppola. L'Huffingtonpost ha raggiunto telefonicamente l'immobiliarista.
Dottor Coppola, lei ha detto a caldo: “molti devono vergognarsi di quello che è accaduto”. Chi e perché?
Sono anni che cerco di raccontare quello che è accaduto. Il mio arresto è stato creato a tavolino dalla Procura di Roma. Mi hanno arrestato facendo fallire una mia società (la Micop, ndr) senza che io ne fossi a conoscenza. Una società fatta fallire, tra l’altro, per un debito fiscale di 7 milioni di euro in un gruppo che all’epoca fatturava 3,5 miliardi. Per questo sono stato tenuto in custodia cautelare per 2 anni, battendo ogni record nella storia della Repubblica italiana. Senza quella istanza di fallimento, poi annullata dalla Cassazione, non ci sarebbe stato il caso Coppola. È stato fatto un attentato ad una persona ritenuta in quel momento scomoda. Alcuni pm si sono comportati come dei camerieri dei poteri forti. Non so per quali ragioni o quanto consapevolmente.
In che modo avrebbero "servito" questi poteri forti?
È bastato che alcuni giornali facessero degli articoli delegittimatori e loro si sono messi a ruota.
Che fa, tira in ballo il cortocircuito mediatico-giudiziario?
Sono finito in un meccanismo del genere. Ma non è solo questo. Mi sono scontrato con un pubblico ministero, il dottor Cascini, che probabilmente apparteneva ad una classe sociale diversa e che vedeva in me un arricchito.
Addirittura pregiudizi sociali?
La realtà è che ero una preda facile. Non ero legato a nessuna lobby di potere. Si sono accaniti su di me.
Lei ha tirato in ballo i poteri forti dietro le sue vicende. Chi sarebbe il burattinaio o i burattinai?
Non voglio fare nomi, ma è semplice tirare le fila. In quel momento ero un imprenditore di 38 anni che era arrivato ad avere il 5% di Mediobanca, una disponibilità di partecipazioni importante. È chiaro che questo dava fastidio a chi è seduto nel salotto buono. C'è stata una reazione.
In che modo?
Tramite i giornali. Hanno fatto dei dossier su di me. Dossier prodotti apposta per delegittimarmi e fare il vuoto intorno. Alla prova dei fatti si è dimostrato tutto falso. Quello che mi è successo è veramente una pagina vergognosa della giustizia italiana. Non si può arrestare una persona, far fallire una società a sua insaputa, metterla in custodia cautelare per un tempo lunghissimo, poi si scopre che nulla era vero.
In termini umani immagino che questa vicenda l’abbia provata moltissimo, ma in termini finanziari quanto le è costata?
I miei avvocati hanno fatto dei conti precisi. Questa vicenda è costata 1,2 miliardi al mio gruppo. Danni veri. La detenzione ha prodotto un effetto domino che ha portato al sequestro e alla svendita di numerosi asset. Faccio solo l’esempio delle azioni Bim che quando me le hanno sequestrate valevano 22 milioni di euro, oggi che me le restituiscono valgono 10 milioni.
Adesso cosa farà?
Grazie a Dio non mi sono mai arreso. Adesso sto facendo delle ristrutturazioni del mio gruppo. Continuo ad avere degli asset molto importanti. La mia famiglia sta costruendo il centro di Porta Vittoria a Milano, 150 mila metri quadri tra residenze e uffici, uno degli alberghi più grandi di Milano, un centro commerciale di cui una parte venduto a Esselunga.
Adesso si terrà lontano dalla finanza?
Guardi, il mondo nel frattempo è cambiato. Anche questi poteri forti che c’erano nel 2005-2006 oggi sono meno forti di prima. Tante lobby si sono frantumate. È chiaro che oggi viviamo in un momento in cui c’è molta più meritocrazia che appartenenza a classi sociali o ad amicizie.