martedì 14 ottobre 2014

Avv. Mori: "Inutile votare in una nazione non più sovrana"

L’illegittimità costituzionale della cessione di sovranità monetaria alle banche private


Tratto dall’intervento sul tema tenuto a Teramo in data 11.10.2014 -

L’Italia non è più un paese sovrano. Avrete certamente avuto modo di ascoltare dichiarazioni di membri del Governo e delle Istituzioni con le quali addirittura si è invocata la cessione di ulteriori fette di sovranità.
Abbiamo visto esprimersi in tal senso Mario Monti, Mario Draghi, Pier Carlo Padoan, Matteo Renzi ed incredibilmente lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, anch’esso in prima linea per chiedere lo smantellamento della nazione. Fatto di inaudita gravità.
Tra le tante dichiarazioni intendo rammentare in particolare quella di Mario Monti il quale disse qualcosa di davvero sconcertante: “Io ho una distorsione che riguarda l’Europa ed è una distorsione positiva, non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi e di GRAVI crisi per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione CESSIONI di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario . E’ chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini, ad una collettività nazionale possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico di non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto visibile conclamata. Certamente occorrono delle autorità di enforcement (n.d.s. costrizione traducendo in Italiano) rispettate che si facciano rispettare che siano indipendenti e che abbiano risorse e mezzi adeguati oggi abbiamo in Europa troppi Governi che si dicono liberali e che come prima cosa hanno cercato di attenuare la portata la capacità di azione le risorse l’indipendenza delle autorità che si sposano necessariamente al mercato in un’economia anche solo liberale”.
Ora, fermo lo sconcerto che si prova nel sentir affermare che una grave crisi e’ lo strumento per convincere i popoli a cedere la sovranità, occorre domandarsi se le predette cessioni siano atto legittimo oppure no. Nessun vero dibattito è mai sorto sul punto, come se la risposta affermativa fosse talmente scontata da non meritare che su di essa possa essere speso tempo o energia. Oggi finalmente qualche voce di dissenso si è alzata e la prova è la sempre maggiore frequenza di eventi come quello di Teramo dove il problema si affronta di petto. Vediamo dunque cosa dice la Costituzione.
L’art. 1 recita: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Il modo naturale con cui si esprime la sovranità è chiaramente il diritto di voto che tuttavia noi non esercitiamo in maniera libera, eguale e personale ormai dal 2005, ovvero dall’avvento del porcellum, legge elettorale che da poco è stata dichiarata incostituzionale (Con sentenza n. 1/2014). Ma ovviamente il diritto di voto, anche qualora svolto in maniera perfettamente legittima (senza premio di maggioranza e liste bloccate composte da nominati), non può consentire l’esercizio popolare della sovranità che sia stata già previamente ceduta dallo Stato. Inutile votare in una nazione non più sovrana.
E’ l’art. 11 Cost. a trattare il tema della limitazione della sovranità nazionale in riferimento al “vicolo esterno dei Trattati Europei: “La Repubblica consente in condizioni di parità con gli altri Stati alle LIMITAZIONI di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra i popoli”.
Orbene la Repubblica, e’ immediatamente evidente dal contenuto letterale dell’articolo, consente semplicemente alle limitazioni di sovranità e giammai permette le pur invocate cessioni. Lapalissiano infatti che cedere è cosa ben diversa dal limitare.
Limitare significa chiaramente omettere di esercitare una prerogativa sovrana, contenere il proprio potere. Limitare dunque non implica mai la consegna a terzi della gestione di questo potere. Un esempio? L’eliminazione delle frontiere. Se permetto a persone provenienti da uno Stato con cui ho stipulato un trattato di varcare, senza limiti, il confine nazionale compio pacificamente una mera limitazione di sovranità. Se invece decidessi di far controllare questo confine da un ordinamento esterno compirei una cessione.
Altresì, fermo il divieto pacifico di cessioni, anche per le mere limitazioni la Costituzione pone comunque il vincolo delle condizioni di parità tra le nazioni (esistono oggi queste condizioni? Certamente no, basta solo pensare alle differenze con cui ogni Stato si finanzia ed al fatto, per fare un altro esempio, che in UE abbiamo paesi non aderenti all’Euro) ed il vincolo di scopo della limitazione finalizzata alla pace e alla giustizia tra le nazioni.
Per un approfondimento sul tema è sufficiente la piana lettura dei lavori dell’assemblea costituente che, come noto, costituisce e rappresenta quella che si può definire l’interpretazione autentica della Costituzione dato che riporta i verbali del dibattito della genesi della carta. Ebbene, nel marzo del 1947, venne discusso un emendamento volto all’eliminazione del precitato vincolo di scopo. Dunque si dibatte se consentire la limitazione di qualsivoglia sovranità e non solo di quella inerente all’adesione ad un ordinamento finalizzato alla pace e alla giustizia tra i popoli. L’emendamento fu respinto.
Dunque non solo non è possibile cedere la sovranità ma addirittura non è possibile anche solo limitarla per scopi, ad esempio, meramente economici.
Come vedete l’inquadramento Costituzionale è addirittura banale. Orbene a questo punto occorre chiedersi se, in materia monetaria, la sovranità sia stata ceduta o meramente limitata. Non vi è dubbio alcuno: si tratta di una manifesta cessione e dunque, ad oggi è ultroneo domandarsi se la stessa sia o meno finalizzata all’ottenimento della pace e della giustizia tra le nazioni, oppure se avvenga in condizioni di parità.
Analizzando i fatti e la cronologia di questa cessione non possiamo, almeno in riferimento ai tempi recenti, che distinguere tre tappe: il divorzio tesoro Banca d’Italia del 1981, la ratifica del Trattato di Maastricht del 1992 e l’avvento dell’Euro (nel 1999 in riferimento ai mercati e dal 2002 nell’economia reale), avvento preceduto dall’approvazione del regolamento n. 1466/97, ovvero il precursore del Fiscal Compact.
Nel 1981 si verifico il cd. divorzio tra Ministero del Tesoro e la Banca d’Italia. In sostanza da tale data si decise che la Banca d’Italia non avrebbe più avuto l’obbligo di acquistare i titoli di stato rimasti invenduti alle aste. Il collocamento integrale dei titoli di Stato non era più garantito. In allora al Ministero del Tesoro sedeva Andreatta mentre alla Banca d’Italia vi era Ciampi.
Nomi certamente da ricordare perché il declino del paese iniziò a causa di queste persone. Il tutto avvenne senza alcuna iniziativa legislativa Parlamentare ma con un semplice regolamento interno della Banca d’Italia seguito ad una lettera di Andreatta.
Anche allora la decisione fu presa sulla base di un’emergenza ampiamente falsa, ovvero lo shock petrolifero cominciato nel 1973 e la conseguente spinta inflazionistica. Dopo oltre quarant’anni il petrolio infatti non solo non è finito ma addirittura lo sfruttamento è drasticamente aumentato.
Il divorzio causò l’immediato rialzo dei tassi di interesse (in termini reali ovviamente). Cioè per fare un esempio se ho inflazione al 10% e mi finanzio all’11% il tasso reale è sostanzialmente dell’1%. Se ho inflazione allo 0% e mi finanzio al 2% il costo degli interessi sul mio debito e’ doppio rispetto all’esempio precedente.
Perché la forbice tra inflazione e tassi d’interesse aumentò? Semplicemente perché la consapevolezza che la Banca d’Italia non avrebbe comprato i titoli invenduti dava la possibilità ai mercati di far alzare i tassi semplicemente riducendo la domanda. In soldoni cosa accadde al debito pubblico italiano?
Il debito raddoppiò in dieci anni dal 1981 al 1992 a causa dei costi reali di finanziamento decisamente superiori. Inoltre è altrettanto grave il fatto che il debito cominciava a passare massicciamente in mano a soggetti privati. Ovvero nasceva un sistema economico che lucrava e dipendeva dal debito stesso, sistema composto anche dai risparmiatori italiani, insomma si modificava la stessa società.
In allora si poteva parlare di limitazione o di cessione di sovranità? Le modalità con cui il divorzio avvenne mi fanno propendere per una mera limitazione posto che l’Italia aveva la chiara possibilità di abbandonare tale follia economica e tornare ad agire sovranamente, era dunque una scelta di non intervento più che una cessione definitiva e permanente di un potere a terzi. Tuttavia era solo il primo passo per l’effettiva cessione della sovranità monetaria che venne codificata con il Trattato di Maastricht.
L’Italia arrivò alla stipula del Trattato in condizioni di grave emergenza tanto che subito dopo, con il Governo Amato, si misero in essere politiche di vera e propria austerità e si diede il via ad una massiccia campagna di privatizzazioni. L’esplosione del debito ed il sistema SME (ovvero l’accordo stipulato per una certa parità di cambio tra le monete europee nel 1979, tentativo che seguiva il serpente monetario europeo fallito sempre per la crisi petrolifera grazie alla Francia ed all’Italia) avevano gravemente colpito il paese. Solo il successivo abbandono SME e la svalutazione della Lira alleggerirono la situazione.
Maastricht e l’Euro, che con esso veniva previsto, costituiscono una reale cessione di sovranità in materia di politiche monetarie ed economiche per il nostro paese. Da allora effettivamente la sovranità è perduta ed attribuita ad un ordinamento esterno al paese ovvero la BCE (organo al vertice SEBC, il sistema europeo delle banche centrali). Cosa accadde esattamente con Maastricht?
Leggiamo gli articoli che certificano l’illegittima cessione della sovranità nazionale in materia monetaria secondo la numerazione oggi consolidata e dunque successiva anche al Tratatto di Lisbona del 2007.
-Articolo 127 (versione consolidata TFUE)
(ex articolo 105 del TCE)
1. L’obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali, in appresso denominato “SEBC”, è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea (n.d.s. la stabilità dei prezzi che tanto piace ai creditori viene prima di ogni sviluppo o sostegno economico). Il SEBC agisce in conformità del principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e rispettando i principi di cui all’articolo 119.
2. I compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono i seguenti:
− definire e attuare la politica monetaria dell’Unione (n.d.s. ecco la cessione di sovranità),
− svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell’articolo 219,
− detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri,
− promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.
3. Il paragrafo 2, terzo trattino, non pregiudica la detenzione e la gestione da parte dei governi degli Stati membri di saldi operativi in valuta estera.
4. La Banca centrale europea viene consultata:
− in merito a qualsiasi proposta di atto dell’Unione che rientri nelle sue competenze,
− dalle autorità nazionali, sui progetti di disposizioni legislative che rientrino nelle sue competenze, ma entro i limiti e alle condizioni stabiliti dal Consiglio, secondo la procedura di cui all’articolo 129, paragrafo 4.
La Banca centrale europea può formulare pareri da sottoporre alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione competenti o alle autorità nazionali su questioni che rientrano nelle sue competenze.
5. Il SEBC contribuisce ad una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario.
6. Il Consiglio, deliberando all’unanimità mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale, previa consultazione del Parlamento europeo e della Banca centrale europea, può affidare alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, escluse le imprese di assicurazione.
-Articolo 128 (versione consolidata TFUE)
(ex articolo 106 del TCE)
1. La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione.
Lo Stato dunque ha rinunciato a poter stampare direttamente, cosa che non faceva già anche in data antecedente al 1981 (ultimo tentativo sul punto furono le 500 Lire di Aldo Moro). Certamente non passa inosservato che ciò che prima era solo una libera scelta così diventava un divieto permanente.
-Articolo 130
(ex articolo 108 del TCE)
Nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti.
Ecco l’attuazione europea della dottrina dell’indipendenza della banca centrale. Ovviamente se la banca centrale è indipendente sarà lo Stato a non esserlo più. Stato che è assolutamente ed innegabilmente dipendente dalle politiche monetarie di BCE.
Articolo 123 (versione consolidata TFUE)
(ex articolo 101 del TCE)
1. Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate “banche centrali nazionali”), a istituzioni, organi od organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.
La banca centrale dunque non potrà mai fornire moneta agli Stati, neppure comprando i loro titoli direttamente al tasso ufficiale di sconto che essa stessa unilateralmente determina (gli acquisti, quando avvengono, sono attuati sul mercato secondario a tassi d’interesse molto più alti). Insomma la banca potrà emettere tutta la moneta che sovranamente ritiene, ma la dovrà accreditare unicamente alle banche commerciali.
Queste norme rappresentano la più palese certificazione documentale dell’avvenuta cessione della sovranità monetaria che si possa immaginare. Cessione avvenuta in favore di un sistema di banche centrali che in definitiva sono composte proprio dalle banche private e commerciali che tutti noi conosciamo. BCE infatti è composta dalle banche centrali nazionali che a loro volta sono composte da banche private azioniste. Raramente si è visto un simile e manifesto conflitto d’interesse.
Ma vi è di più, tale sistema è palesemente incompatibile anche con l’art. 47 Cost. che, essendo inserito nella parte economica della carta, semplicemente chiarisce e specifica quelli che sono i principi fondamentali dell’ordinamento. Proprio al fine di avere una Repubblica fondata sul lavoro e non sui capricci della finanza fu disposto con assoluta chiarezza che: “La Repubblica disciplina, coordina e controlla il credito”.
Oggi non solo la Repubblica non coordina e non controlla il credito ma addirittura è il settore creditizio ad imporre le politiche economiche allo Stato. Come prova pacificamente quanto avvenne nel 2011 allorquando una lettera di BCE aprì la porta a quelle politiche di austerità che stanno devastando la nostra economia. BCE, strumentalizzando la falsa crisi dello spread che era stata in realtà direttamente provocata dalla banca centrale con l’annuncio di non sostenere il debito italiano neppure sul mercato secondario, iniziava allora l’attacco volto allo smantellamento degli stati nazionali.
Concludiamo la panoramica con quanto accadde prima dell’effettivo avvento nell’Euro. Ovvero l’approvazione del Regolamento n. 1466/97 con cui vennero stabiliti obiettivi di convergenza e stabilità. Tale regolamento, redatto a cura della Commissione Europea, ha addirittura ristretto i margini di bilancio già risicati previsti dai Trattati (specificatamente nel protocollo n. 12 allegato). Il Regolamento n. 1466/97 anticipa il pareggio in bilancio poi diventato realtà con il six Pack, il two pack ed il Fiscal Compact, nonché con la conseguente modifica dell’art. 81 Cost.
È chiaro che se uno Stato non ha sovranità monetaria dovrà ricorrere ai mercati per finanziarsi. Certamente, se non potrà finanziarsi neppure oltre la misura prefissata da trattati e regolamenti, possiamo tranquillamente dire che si va ben oltre la cessione di sovranità ma siamo innanzi ad un criminale e manifesto progetto di cancellazione delle stesse nazioni per fare posto ad un nuovo ordinamento, all’ordinamento voluto dalla finanza.
Basta solo pensare che anche con il parametro del 3% (inteso come rapporto deficit/pil annuo), che a breve verrà addirittura messo in pensione per fare posto ad un margine ancora più risicato fissato 0,5%, la nazione è costretta ogni anno a tassare più di quanto spende con la conseguenza che la la ricchezza viene drenata dal risparmio dei cittadini.
Benché il tradimento Costituzionale sia manifesto concludo con una proposta emendativa dell’art. 47 Cost. e ciò affinché quanto oggi in atto non possa un domani ripetersi pedissequamente. Sperando che saranno effettivamente fermati ovviamente.
Tale proposta emendativa nasce dall’illuminata mente di Luciano Barra Caracciolo, Presidente della quinta sezione del Consiglio di Stato e membro fondatore di Riscossa Italiana: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme, disciplina coordina e controlla l’esercizio del credito nonché, attraverso le forme di direttiva e coordinamento demandate dalla legge al Governo, in armonia con l’indirizzo espresso dal Parlamento, l’emissione della moneta avente corso legale, al fine di salvaguardare l’effettività del diritto al lavoro e ad un’equa retribuzione, quali presupposti di un risparmio diffuso e armonico con le esigenze di sviluppo della Nazione (artt.1, 4 e 36)”.
Ringrazio il Prof. Claudio Moffa, il PM Gennaro Varone ed Aldo Tanari per il bel convegno organizzato di cui a breve pubblicherò il video integrale grazie alle riprese di “Brigate Sovraniste” (http://brigatesovraniste.blogspot.it/?m=1)

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