mercoledì 17 settembre 2014

Una bomba dal Cfr




Una bomba dal Cfr: “… le Banche Centrali … dovrebbero consegnare denaro contante direttamente ai consumatori.”


Da: http://paolomaleddu.com/?p=552

Questo articolo, segnalatomi da un Marco Saba sempre attento a monitorare tutto ciò che succede nel sistema monetario internazionale, è appena apparso sul numero di Settembre-Ottobre della rivista Foreign Affairs. E’ una autentica bomba a tempo: perciò ho voluto immediatamente tradurlo e metterlo in circolazione nel web. Foreign Affairs è la rivista del Council on Foreign Relations, probabilmente il think-tank internazionale più prestigioso tra quelli visibili, una associazione indipendente (dicono loro) che fa parte della cupola del Governo Mondiale (diciamo in tanti). Pertanto, l’articolo che segue, firmato da  Mark Blyth e Eric Lonergan, provenendo dal Cfr, assume una rilevanza fuori dall’ordinario. E’ il vertice del Potere mondiale che suggerisce di consegnare direttamente ai consumatori il denaro contante: non potrà non avere ripercussioni importanti in un futuro molto prossimo. E’ un segnale importante, visto la provenienza. E’ un documento da esaminare per bene per poter cogliere ed interpretare i numerosi segnali che contiene. Ci sono suggerimenti e commenti che somigliano molto a veri e propri ordini o avvertimenti per i governanti. Nonostante la ben giustificata diffidenza che nutriamo nei confronti della classe dominante dei banchieri, numerosi messaggi e la frase che nel finale dice ” Il tempo è giunto per tale tipo di innovazione” , ci incoraggiano a essere ottimisti. Sarà l’inizio di una svolta tanto attesa? Speriamo bene …

Stampare Meno ma Trasferire di Più  - Perché le Banche Centrali Dovrebbero Dare Denaro Direttamente alla Gente     
http://www.foreignaffairs.com/articles/141847/mark-blyth-and-eric-lonergan/print-less-but-transfer-more
Nei decenni che seguirono la Seconda Guerra Mondiale, l’economia del Giappone crebbe così velocemente e così a lungo che gli esperti descrissero il fenomeno come assolutamente miracoloso. Durante l’ultimo grande boom del Paese, tra il 1986 e il 1991, la sua economia è cresciuta di quasi un trilione di dollari. Ma poi, in una storia con chiare similitudini  con quella odierna, la bolla speculativa del Giappone scoppiò, e i suoi mercati azionari andarono giù in picchiata. Il debito pubblico si gonfiò a dismisura, e la crescita annua scese a meno dell’uno per cento. Nel 1998 l’economia si stava contraendo.
In quel Dicembre, un professore di economia di Princeton dichiarò che i banchieri centrali avrebbero ancora potuto porre rimedio. Il Giappone stava essenzialmente soffrendo per una insufficienza di domanda: i tassi di interesse erano già bassi, ma i consumatori non stavano comprando, le aziende non prendevano prestiti, e gli investitori non stavano rischiando. Era una previsione che si realizzava da sé: il pessimismo economico stava impedendo la ripresa.   Bernanke disse che la Bank of Japan doveva essere più aggressiva e suggerì di prendere in considerazione un approccio non convenzionale: dare contante direttamente alle famiglie giapponesi. I consumatori avrebbero potuto spendere la manna caduta dal cielo per uscire dalla recessione, alimentando la domanda e facendo salire i prezzi.
Come lo stesso Bernanke chiarì, il concetto non era nuovo: negli anni ’30, l’economista inglese John Maynard Keynes propose di seppellire bottiglie di banconote in vecchie miniere di carbone; una volta riportate alla luce (come l’oro), il contante avrebbe creato nuova ricchezza e stimolato la spesa. Anche l’economista conservatore Milton Friedman vide l’attrattiva del trasferimento diretto del denaro, che paragonò ad un lancio di denaro dall’elicottero. Il Giappone comunque non tentò queste soluzioni, e l’economia del Paese non si è mai ripresa completamente. Tra il 1993 e il 2003, la crescita annuale media del Giappone era meno dell’uno per cento.
Oggi la maggior parte degli economisti sono d’accordo che, come il Giappone nella seconda parte degli anni ’90, l’economia globale sta soffrendo a causa di una spesa insufficiente, un problema che deriva da un più grave difetto di governance. Le Banche Centrali, inclusa la U.S. Federal Reserve, hanno intrapreso azioni aggressive, abbassando consistentemente i tassi d’interesse in misura tale che oggi si aggirano intorno allo zero. Hanno anche pompato un valore di trilioni di dollari di denaro fresco dentro il sistema finanziario. Ciononostante tali politiche hanno solo alimentato un dannoso ciclo di boom e crisi, annullando gli incentivi e distorcendo i prezzi degli assets, e ora la crescita economica ristagna mentre peggiora la disuguaglianza. E’ giunto il tempo, quindi, per i responsabili politici americani, così come le loro controparti in altri paesi sviluppati, di prendere in considerazione una qualche versione dei lanci di denaro dall’elicottero di Friedman. A breve termine, questi trasferimenti di contante potrebbero far ripartire di scatto l’economia. Sul lungo periodo, potrebbero ridurre la dipendenza dal sistema bancario per la crescita e invertire il trend della disuguaglianza. I trasferimenti non provocherebbero dannosa inflazione, e pochi mettono in dubbio che funzionerebbero. L’unica domanda è perché nessun governo li abbia provati.
Invece di trascinare verso il basso la parte alta, i governi dovrebbero spingere verso l’alto la parte inferiore.
DENARO FACILE
In teoria, i governi possono incrementare la spesa in due modi: attraverso politiche fiscali (come abbassando le tasse o aumentando la spesa del governo) o attraverso politiche monetarie ( come riducendo i tassi d’interesse o aumentando l’offerta di denaro). Ma negli ultimi decenni, i governi si sono affidati quasi esclusivamente alla seconda opzione. Il cambio è avvenuto per svariate ragioni. Soprattutto negli Stati Uniti, le divisioni sulla politica fiscale sono cresciute troppo  per poter essere ricucite, in quanto destra e sinistra hanno dato inizio a dure lotte per scegliere tra l’incremento della spesa del governo o il taglio delle tasse. Generalmente, sgravi fiscali e incentivi di stimolo tendono ad avere più grossi ostacoli politici che i cambiamenti di politica monetaria. Presidenti e primi ministri hanno bisogno dell’approvazione delle loro assemblee legislative per passare un budget; ciò richiede tempo, e le agevolazioni fiscali e gli investimenti pubblici spesso beneficiano potentati privati piuttosto che l’economia nel suo insieme. Molte banche centrali, al contrario, sono politicamente indipendenti e possono tagliare i tassi d’interesse con un unica teleconferenza. Inoltre, semplicemente non c’è un reale consenso sul come usare le tasse o la spesa per stimolare in maniera efficiente l’economia.
La crescita continua dagli ultimi anni ’80 ai primi anni di questo secolo sembravano giustificare questa enfasi sulla politica monetaria. L’approccio presentava gravi inconvenienti, tuttavia. A differenza della politica fiscale, che agisce direttamente sulla spesa, la politica monetaria opera in maniera indiretta. I bassi tassi d’interesse riducono i costi dei prestiti e portano su i costi di azioni, obbligazioni e delle case. Ma stimolare in questo modo l’economia è caro e non efficiente, e può creare pericolose bolle – per esempio nel mercato immobiliare – e incoraggiare aziende e famiglie ad avventurarsi in pericolosi indebitamenti.
Ciò è precisamente cosa accadde durante la presidenza della Fed di Alan Greenspan dal 1997 al 2006: Washington fece troppo affidamento sulla politica monetaria per incrementare la spesa. I commentatori spesso biasimano Greenspan di aver preparato il terreno per la crisi finanziaria del 2008, tenendo gli interessi troppo bassi nei primi anni di questo secolo. Ma l’impostazione di Greenspan era solo una reazione alla mancanza di volontà del Congresso di usare i propri strumenti fiscali. Inoltre, Greenspan era in completa buona fede nel suo agire. Nella testimonianza al Congresso nel 2002, spiegò come la politica della Fed influenzasse l’americano medio: “Particolarmente importanti nel sostenere la spesa sono i tassi molto bassi di interesse sui mutui, che incoraggiano le famiglie ad acquistare case, rifinanziare il debito e abbassare gli oneri del servizio del debito, ed estrarre valore dalle case per finanziare la spesa. I tassi d’interesse fissi rimangono ad un livello storicamente basso e dovrebbe quindi alimentare una  richiesta abbastanza forte di abitazioni e, per mezzo dell’estrazione di valore, sostenere anche la spesa dei consumatori”.
Naturalmente, il modello di Greenspan si schiantò e si bruciò in maniera spettacolare quando il mercato immobiliare delle case implose nel 2008. Ancora niente è in realtà cambiato da allora. Gli Stati Uniti hanno a malapena rimesso insieme il loro sistema finanziario e riesumato le stesse politiche che crearono 30 anni di bolle finanziarie. Considerate ciò che Bernanke, che venne fuori dall’accademia per servire come successore di Greenspan, fece con la sua politica di “quantitative easing” , col quale la Fed incrementò la disponibilità di denaro acquistando miliardi di dollari di titoli garantiti da ipoteca e titoli di Stato. Bernake puntò ad incrementare i prezzi di azioni e obbligazioni nello stesso modo con cui Greenspan aveva tirato su i prezzi delle case. I loro obiettivi erano sostanzialmente gli stessi: incrementare la spesa al consumo.
Gli effetti complessivi delle politiche di Bernanke sono stati simili a quelli di Greenspan. I più alti prezzi degli assets hanno incoraggiato una modesta ripresa della spesa, ma con gravi rischi per il sistema finanziario e ad un enorme costo per i contribuenti. Ciò nonostante altri governi hanno continuato a seguire il cammino di Bernanke. La Banca Centrale del Giappone, per esempio, ha tentato di usare la propria politica di quantitative easing per sollevare il mercato azionario. Sino ad ora, comunque, gli sforzi di Tokyo non sono riusciti a contrastare il sottoconsumo cronico del Paese. Nell’eurozona, la Banca Centrale Europea ha tentato di incrementare gli incentivi di spesa rendendo negativi i tassi d’interesse, addebitando lo 0,1 per cento alle banche commerciali per il deposito di contante. Ma non si nota che questa politica abbia incrementato la spesa.
La Cina sta già lottando per far fronte alle conseguenze di politiche simili, adottate sulla scia della crisi finanziaria del 2008. Per tenere a galla l’economia nazionale, Pechino tagliò decisamente i tassi d’interesse e diede alle banche il permesso di rilasciare un numero senza precedenti di prestiti. Il risultato è stato un drammatico incremento nei prezzi dei beni e sostanziale nuovo indebitamento da parte di individui e società finanziarie, che portò a una pericolosa instabilità. I responsabili politici cinesi stanno ora tentando di sostenere la spesa complessiva riducendo il debito e rendendo i prezzi più stabili. Allo stesso modo di altri governi, a Pechino mancano le idee sul da farsi. Non vuole continuare ad allentare la politica monetaria. Ma non ha ancora trovato un’altra strada per andare avanti.
La più ampia economia globale può essere già entrata, nel frattempo, in una bolla obbligazionaria e potrebbe presto assistere ad una bolla azionaria. Il mercato immobiliare delle case nel mondo, da Tel Aviv a Toronto, è surriscaldato. Nel settore privato, molti non vogliono contrarre nuovi prestiti; pensano che il loro livello di debiti sia già troppo alto. Queste sono notizie estremamente negative per i banchieri centrali: quando famiglie e investitori rifiutano di aumentare rapidamente i prestiti, la politica monetaria non può fare molto per incrementare la loro spesa.  Negli ultimi 15 anni le maggiori banche centrali del mondo hanno ampliato i loro bilanci di circa 6 trilioni, principalmente attraverso quantitative easing e altre così chiamate operazioni di liquidità. Ciò nonostante, nella gran parte del mondo sviluppato, l’inflazione si è appena mossa.
In qualche misura, l’inflazione bassa riflette una intensa competitività in una economia sempre più globalizzata. Ma succede anche quando la popolazione e gli investitori esitano troppo a spendere il loro denaro, il che tiene alta la disoccupazione e bassa la crescita dei salari. Nell’eurozona l’inflazione è pericolosamente scesa vicino allo zero. E alcuni paesi come Portogallo e Spagna, potrebbero già trovarsi in deflazione. Nella migliore delle ipotesi, le politiche attuali non stanno funzionando; nella peggiore, conducono a crescente instabilità e stagnazione prolungata.
FAI CHE PIOVA
I Governi devono far meglio. Piuttosto che tentare di stimolare la spesa del settore privato attraverso l’acquisto di assets o cambi nei tassi d’interesse, le banche centrali, come la Fed, dovrebbero consegnare direttamente il contante ai consumatori. Praticamente, questa politica potrebbe dare alle banche centrali la possibilità di consegnare alle famiglie dei contribuenti dei loro paesi un certo ammontare di denaro. Il governo potrebbe equamente distribuire contante a tutti i nuclei familiari o, ancora meglio, destinarlo all’ottanta per cento inferiore delle famiglie in termini di reddito. Puntare a coloro che guadagnano meno avrebbe due benefici principali. Da un lato, le famiglie a più basso reddito sono più soggette a consumare, tanto da incrementare maggiormente la spesa. Da un altro, la scelta politica porrebbe un freno alla crescente disuguaglianza.
Un tale approccio rappresenterebbe una significativa innovazione nella politica monetaria dall’istituzione della banca centrale, senza essere comunque un radicale abbandono dello status quo. La maggior parte dei cittadini già confidano nell’abilità delle loro banche centrali di manipolare i tassi d’interesse. E i cambi dei tassi sono tanto ridistributivi come i trasferimenti di contante. Quando i tassi d’interesse calano, per esempio, coloro che prendono in prestito a tasso variabile terminano beneficiandone, mentre coloro che risparmiano – e quindi dipendono più dal reddito da interessi – perdono.
La maggior parte degli economisti concordano che trasferimenti di contante dalla banca centrale stimolerebbe la domanda. Ma i responsabili politici tuttavia continuano a resistere all’idea. In un discorso del 2012, Mervyn King, il governatore della Banca d’Inghilterra, dichiarò che i trasferimenti tecnicamente equivalgono a una politica fiscale, che cade al di fuori dell’ambito del banchiere centrale, una opinione a cui ha fatto eco nel passato Marzo la sua controparte giapponese, Haruhiko Kuroda. Tali argomenti, comunque, sono puramente semantici.  Distinzioni tra politiche monetarie e fiscali sono una funzione che i governi chiedono alle loro banche centrali di svolgere. In altre parole, i trasferimenti di contante diventerebbero uno strumento di politica monetaria non appena le banche iniziassero ad usarli.
Altri critici ammoniscono che questi lanci dall’elicottero potrebbero causare inflazione. I trasferimenti, comunque, sarebbero uno strumento flessibile. I banchieri centrali potrebbero lanciarli quando ritengono più opportuno e aumentare i tassi d’interesse per compensare effetti inflazionari, quantunque non ci dovrebbe essere bisogno: in anni recenti i bassi tassi d’interesse si sono dimostrati notevolmente resilienti, persino dopo ripetuti quantitative easing.  Tre trends spiegano perché. Primo, l’innovazione tecnologica ha portato giù i prezzi al consumo e la globalizzazione ha impedito l’aumento negli stipendi. In secondo luogo, le ricorrenti crisi (panics) finanziarie degli ultimi decenni hanno spinto molte economie di più bassi redditi ad incrementare il risparmio – in forma di riserve di valuta – come forma di assicurazione. Ciò significa che hanno speso molto meno di quanto potrebbero, affamando le loro economie di investimenti in aree come infrastrutture e difesa, che avrebbero fornito occupazione e fatto crescere i prezzi. Infine, in tutto il mondo industrializzato, le aumentate aspettative di vita hanno spinto privati cittadini a focalizzarsi sul risparmio a più lungo termine (pensa al Giappone).  In conseguenza di ciò, adulti di mezza età e gli anziani hanno iniziato a spendere meno su beni e servizi.  Queste radici strutturali della bassa inflazione odierna continueranno a rinforzarsi nei prossimi anni, come la competizione globale si intensifica, persistono i timori di crisi finanziarie, e la popolazione in Europa e negli Stati Uniti continua ad invecchiare. Se non altro, i responsabili politici dovrebbero preoccuparsi di più della deflazione, che sta già creando problemi nell’eurozona.
Non c’è necessità, quindi, che le banche centrali abbandonino la loro tradizionale attenzione a mantenere alta la domanda e il controllo dell’inflazione. I trasferimenti di contante offrono più opportunità di raggiungere quegli obiettivi di quanto lo facciano i cambi dei tassi d’interesse e i quantitative easing, ad un costo molto inferiore. Dal momento che sono più efficienti, i lanci dall’elicottero richiederebbero alle banche meno stampa di denaro.  Depositando i fondi direttamente in milioni di conti correnti – stimolando immediatamente la spesa – i banchieri centrali non avrebbero necessità di quantità di denaro equivalente al 20 per cento del Prodotto Interno Lordo.
L’impatto complessivo dei trasferimenti dipenderebbe dal cosiddetto moltiplicatore fiscale, che misura di quanto il Pil crescerebbe per ogni 100 dollari trasferiti.  Negli Stati Uniti, gli sgravi fiscali previsti dal Economic Stimulus Act del 2008, che ammontava più o meno all’uno per cento del Prodotto Interno Lordo (GPD), può fungere da utile guida: si stima che abbiano un moltiplicatore di circa 1.3. Ciò significa che una iniezione di contante equivalente al due per cento del Pil, accrescerebbe probabilmente l’economia di un 2.6 per cento. Trasferimenti di quella portata – meno del cinque per cento del Pil – sarebbero probabilmente sufficienti a generare una crescita economica.
Usando i trasferimenti di contante, le banche centrali potrebbero incrementare la spesa senza correre il rischio di tenere i tassi d’interesse bassi.  Ma i trasferimenti indirizzerebbero solo in maniera marginale la disuguaglianza del reddito, un’altra grave minaccia per la crescita economica nel lungo termine. Negli ultimi tre decenni, i salari del 40 per cento inferiore dei percettori nei paesi industrializzati non sono cresciuti, mentre i percettori al top hanno visto incrementare vertiginosamente i loro redditi. La Banca d’Inghilterra ritiene che il cinque per cento più ricco delle famiglie britanniche possieda ora il 40 per cento della ricchezza totale del Regno Unito – un fenomeno adesso comune nel mondo industrializzato.
Per ridurre il divario tra ricchi e poveri, l’economista francese Thomas Piketty e altri hanno proposto una tassa globale sulla ricchezza. Ma una tale politica non sarebbe efficiente. Per il semplice motivo che i ricchi userebbero probabilmente la loro influenza politica e le risorse finanziarie per opporsi alla tassa ed evitare di pagarla. Circa 29 trilioni di assets offshore riposano al di fuori della portata dei ministeri del tesoro statali, e la nuova tassa aumenterebbe quella quantità. In aggiunta, la maggior parte delle persone che dovrebbero pagare – il dieci per cento più alto di percettori – non sono tanto ricchi. Di solito, la maggior parte delle famiglie nel segmento di più alto reddito sono della classe medio-alta, non super-ricchi. Caricare  ulteriormente questo gruppo sociale avrebbe alti costi politici e, come i recenti problemi di budget della Francia dimostrano, renderebbe scarsi benefici finanziari. In conclusione, le tasse sul capitale scoraggerebbe investimenti privati e innovazione.
Ci sarebbe un’altra strada: invece di tentare di portare giù il vertice, i governi potrebbero portar su la parte inferiore. Le banche centrali potrebbero emettere debito e utilizzare il ricavato investendolo in un indice azionario globale, un pacchetto di investimenti differenziati con un valore che sale e scende con il mercato, che potrebbero tenere in fondi sovrani. La Banca d’Inghilterra, la Banca Centrale Europea, e la Federal Reserve già posseggono beni patrimoniali in eccesso del 20 per cento del Prodotto Interno Lordo dei loro paesi, perciò non c’è motivo per cui non possano investire quegli assets in azioni globali a beneficio dei loro cittadini. Dopo circa 15 anni, i fondi potrebbero distribuire le loro partecipazioni azionarie all’ottanta per cento inferiore per reddito dei contribuenti. I pagamenti si potrebbero effettuare su conti correnti individuali non tassabili, e il governo potrebbe porre piccoli vincoli su come il capitale potrebbe essere usato.
Per esempio, ai beneficiari si potrebbe richiedere di mantenere i fondi come risparmi o finanziare la loro educazione, saldare debiti, iniziare un business, o investire in una casa. Tali restrizioni spingerebbe i riceventi a pensare ai trasferimenti di denaro come un investimento per il futuro, piuttosto che a una vincita alla lotteria. L’obiettivo, per di più, sarebbe quello di incrementare la ricchezza nella parte bassa della distribuzione del reddito sul lungo periodo, che contribuirebbe molto a diminuire l’ineguaglianza.
La cosa migliore è che il sistema si auto-finanzierebbe. La maggior parte dei governi possono ora emettere titoli di debito a un tasso di interesse reale vicino allo zero. Se accumulassero capitale in quel modo o liquidassero i beni che attualmente possiedono, potrebbero godere di un rendimento reale del cinque per cento – una stima prudente, dati i rendimenti storici e le valutazioni correnti. Grazie agli effetti dell’interesse composto, i profitti da questi fondi potrebbero ammontare circa a un 100 per cento di plusvalenza dopo appena 15 anni. Ammettiamo che un governo emetta titoli di debito equivalente al 20 per cento del Pil ad un interesse reale uguale a zero, e quindi investa il capitale in un indice azionario globale. Dopo 15 anni potrebbe ripagare il debito generato e anche trasferire il capitale in eccesso alle famiglie. Questo non è alchimia. E’ una politica che metterebbe il cosiddetto premio per il rischio azionario – il rendimento in eccesso che gli investitori ricevono in cambio per mettere a rischio il loro capitale –  a lavorare per tutti.
PIU’ DENARO, MENO PROBLEMI
Per come stanno attualmente le cose, le politiche monetarie prevalenti sono andate avanti quasi completamente senza essere contrastate, se si eccettuano le proposte di economisti keynesiani come Lawrence Summers e Paul Krugman, che hanno sollecitato per spese finanziate dal governo per infrastrutture e ricerca. Tali investimenti, secondo il ragionamento, creerebbero posti di lavoro facendo gli Stati Uniti più competitivi. Ed ora sembra il momento più propizio per mettere insieme fondi per pagare tali lavori: i governi possono prendere in prestito per dieci anni a tassi reali di interessi vicini allo zero.
Il problema di questi obiettivi è che la spesa in infrastrutture ci impiega troppo tempo per riavviare una economia in difficoltà. Nel Regno Unito, per esempio, i responsabili politici ci hanno impiegato dieci anni per arrivare a un accordo per costruire un progetto di ferrovia ad alta velocità noto come HS2 e un tempo altrettanto lungo per mettersi d’accordo su un progetto di aggiungere una terza pista all’aeroporto di Heathrow a Londra. Tali grandi investimenti a lungo termine sono necessari. Ma non dovrebbero essere fatti con fretta. Chiedete appunto agli abitanti di Berlino del nuovo, non necessario aeroporto che il governo tedesco sta costruendo per oltre 5 miliardi di dollari, attualmente con cinque anni di ritardo sui programmi. I governi continuano quindi ad investire in infrastrutture e ricerca, ma quando si trovano ad affrontare una domanda insufficiente, dovrebbero affrontare il problema della spesa velocemente e in modo diretto.
Se il trasferimento di contante rappresenta qualcosa di tanto sicuro, perché nessuno lo ha provato? La risposta, in parte, si riduce ad un avvenimento nella storia: le banche centrali non sono state progettate per gestire la spesa. Le prime banche centrali, molte delle quali sono state fondate alla fine del diciannovesimo secolo, furono progettate per portare avanti poche funzioni basiche: emettere valuta, approvvigionare di liquidità il mercato dei titoli di Stato e mitigare il panico bancario (le crisi del sistema, N.d.T.).  Erano soprattutto impegnate nelle cosiddette operazioni a mercato aperto – essenzialmente, l’acquisto e la vendita dei titoli di Stato – che procuravano liquidità alle banche e determinavano il tasso di interesse nei mercati monetari. Il quantitative easing, l’ultima variante della funzione di acquisto di titoli, si dimostrò capace di stabilizzare i mercati monetari nel 2009, ma ad un costo troppo elevato, considerando la piccola crescita raggiunta.
Un secondo fattore che spiega il persistere della vecchia maniera di fare business coinvolge il bilancio delle banche centrali. La contabilizzazione convenzionale tratta il denaro – banconote e riserve – come un passivo. Così se una di queste banche dovesse emettere trasferimenti di contante in eccesso rispetto al suo attivo, potrebbe tecnicamente avere un patrimonio netto negativo. Ma non ha senso preoccuparsi della solvenza delle banche centrali: dopo tutto, possono stampare altro denaro.
Le più forti fonti di resistenza ai trasferimenti di contante sono politiche e ideologiche. Negli Stati Uniti, per esempio, la Fed è estremamente contraria a cambiamenti legislativi riguardanti la politica monetaria per timore di azioni del congresso tese a limitare la propria libertà d’azione in una futura crisi (come ad esempio impedendogli di salvare banche straniere). Inoltre, molti americani conservatori ritengono i trasferimenti di cash essere elemosine socialiste. In Europa, nella quale uno potrebbe credere di trovare suolo più  fertile per tali trasferimenti, la paura tedesca dell’inflazione che condusse la Banca Centrale Europea ad alzare i tassi nel 2011, nel mezzo della più grande recessione dagli anni ’30, suggerisce che una resistenza ideologica si possa trovare anche là.
Coloro ai quali non piace l’idea di premi in denaro, comunque, dovrebbero immaginare quelle povere famiglie ricevere una imprevista eredità o sgravio fiscale.  Una eredità è un trasferimento di ricchezza non guadagnato dal destinatario, e tempistica e quantità sfuggono al controllo del beneficiario. Sebbene il regalo possa venire da un membro della famiglia, in termini finanziari, è uguale a un trasferimento di denaro diretto dal governo. Le persone povere, naturalmente, raramente hanno parenti ricchi e così, raramente ricevono eredità – ma secondo il piano qui proposto, la riceverebbero, ogni volta che il loro Paese fosse a rischio di entrare in recessione.
A meno che uno non sottoscriva che le recessioni siano terapeutiche o meritate, non c’è nessun motivo per il quale il governo non debba tentare di porre loro fine se ne ha la possibilità, e i trasferimenti di denaro contante sono un metodo unicamente efficace di farlo. Per un motivo, incrementerebbero immediatamente la spesa, e le banche centrali potrebbero attivarli istantaneamente, a differenza della spesa in infrastrutture o di cambiamenti nelle disposizioni fiscali, che solitamente richiedono leggi. E in contrasto con tagli ai tassi di interesse, i trasferimenti di denaro contante influenzerebbe la domanda direttamente, senza gli effetti indesiderati di condizionare i mercati finanziari e i prezzi dei beni. Aiuterebbero pure a correggere l’ineguaglianza – senza spellare i ricchi.
A parte l’ideologia, le maggiori barriere all’implementazione di questa politica sono sormontabili. Il tempo è giunto per questo tipo di innovazioni. Le banche centrali stanno ora tentando di guidare le economie del ventunesimo secolo con set di strumenti politici inventati oltre un secolo fa. Facendo troppo affidamento su quei sistemi, hanno terminato coll’abbracciare politiche con perverse conseguenze e povere ricompense finali. Tutto ciò che serve per cambiare rotta è coraggio, cervello, e una leadership per tentare qualcosa di nuovo.