giovedì 15 ottobre 2015

POPOLARE DI VICENZA / ECCO CHI HA SCAVATO IL BUCO

POPOLARE DI VICENZA / ECCO CHI HA SCAVATO IL BUCO. E 8 ANNI FA MAGISTRATURA E BANKITALIA CHIUSERO GLI OCCHI


14 ottobre 2015 autore: Andrea Cinquegrani
http://www.lavocedellevoci.it/?p=3420
mont vicenza

Scandalo Popolare di Vicenza. Come mai la procura ha dormito, nonostante alcune precise denunce presentate nelle mani del numero uno Nelson Salvarani addirittura nel 2008 dall’Adusbef su gravi episodi di malagestione? E perchè Bankitalia, dopo aver redatto alcune note preoccupanti sulle operazioni allegre dell’istituto veneto, ha poi pensato bene di non intervenire con una accurata ispezione e un rituale commissariamento?
Siamo alle solite, come del resto ha abbondantemente documentato nel volume “Bankster – Molto peggio di Al Capone i vampiri di Wall street e piazza Affari”, uscito a giugno 2010 (scaricabile gratuitamente dalla home page del sito della Voce), Elio Lannutti, storico e battagliero animatore della sigla che tutela i risparmiatori e utenti dei servizi bancari. Gli organi di repressione, vigilanza e controllo (lo stesso accade con Consob e le società quotate in borsa) intervengono “regolarmente” dopo che i buoi sono usciti dalle stalle, e quando le casse sono state svaligiate al punto giusto. Mai un “prima” o “durante” i furti: sempre dopo, a cose fatte, a bottino ampiamente trafugato, reinvestito o inviato con un bel fiocco in uno dei tanti, ospitali paradisi fiscali.
E così è successo, in modo clamoroso, con la Popolare di Vicenza e le indagini su un “insospettabile”, il padre-padrone della Banca Giovanni Zonin, il re del vino. Che già incarna un’anomalia: come è possibile immaginare a capo di un istituto di credito un pezzo da novanta del mondo imprenditoriale, che caso mai deve deliberare su un fido ad una sua azienda, oppure di un socio, di un parente o un amico? Come si diceva una volta: quando si verifica un caso del genere, mi alzo e lascio decidere in tutta libertà gli altri membri del consiglio d’amministrazione. Succedeva ai tempi di re Ferdinando Ventriglia e i fidi allegri al Banco di Napoli o all’istituto di credito agevolato per il mezzogiorno, l’Isveimer negli anni ’70 di vacche grasse. Ma ora? Nessuno se ne era accorto di una simile anomalia “genetica” alla Popolare di Vicenza?
C’è chi racconta a piazza Affari: “purtroppo episodi del genere ce se sono, soprattutto in un mondo variegato come quello delle Popolari e delle banche cooperative. Conflitti d’interesse dietro ogni angolo. Un po’ come succede adesso, in modo lampante, con Mario Mantovani in Lombardia: lo scandalo non è di oggi, che lo hanno beccato, ma viene da molto prima. Come è stato mai possibile nominare assessore alla sanità pubblica e anche vicepresidente della Regione il ras della sanità privata? Quelli che oggi cadono dal pero, cosa facevano ieri? E come mai, anche in questo caso, finora la magistratura ha chiuso gli occhi?”.
Ma torniamo alla Popolare vicentina e alle denunce dell’Adusbef. Primo atto. 18 marzo 2008. Lannutti firma un esposto-denuncia indirizzato al procuratore capo di Vicenza Nelson Salvarani, e per conoscenza anche alle procure di Milano e Roma. Eccone alcuni stralci. “Si è appreso che il Cda della Banca Popolare di Vicenza avrebbe dato il via libera ad un rafforzamento patrimoniale di complessivi 950 milioni di euro, di cui 480 milioni mediante aumento di capitale a pagamento, di euro 220 milioni mediante prestito obbligazionario subordinato ed euro 250 milioni mediante l’emissione di strumenti innovati di capitale”. Tutto ciò, veniva precisato, anche per sostenere l’onere di alcune operazioni, come l’acquisizione di 61 sportelli di Ubi banca, addirittura il 2 per cento di Mediobanca, una parte dei 186 sportelli messi in vendita da Unicredit e il 76 per cento del capitale del Mediocredito siciliano Irfis.
Elio Lannutti
Elio Lannutti
Adusbef, in particolare, puntava i riflettori “sull’illiceità di talune condotte societarie, del presidente Zonin e del cda, in merito alla delibera dello stesso cda di aumento della quotazione azionaria a 58 euro”, con un valore giudicato del tutto “inverosimile” e tale da richiedere un grosso “sacrificio finanziario a tutti i soci”. Per gli stessi motivi Adusbef chiedeva “l’apertura di un procedimento penale a carico degli esponenti aziendali della banca”.
Ma ecco, in rapida carrellata, le tappe successive. 2 gennaio 2009. Il pm Angela Barbaglio chiede al gip di poter proseguire nelle indagini, ma tre mesi dopo ha già le idee chiare e fa istanza di archiviazione, ratificata dal gip Eloisa Pesenti il 21 aprile che fa calare il sipario sull’inchiesta. Il decreto di archiviazione non viene neanche comunicato, come di prassi, al denunciante, in questo caso Adusbef. In tempo reale, il 23 aprile l’ufficio stampa della Popolare suona le trombe e annuncia il grande evento: tutto archiviato. E poi, altre 48 ore dopo, ecco il brindisi: quando l’assemblea dei soci, il 25 aprile, reincorona Zonin al vertice dell’istituto. “La consecutio delle date – denuncia Lannutti – e di tutto quanto è successo dal 15 al 25 aprile, sono elementi così importanti e decisivi da far sospettare un’attenta regia tra i vertici della Popolare e quello della procura, che si arrogava il diritto di archiviare per consentire all’assemblea dei soci di celebrare il trionfo senza ombre della gestione Zonin”.
Ma ecco che il 28 settembre 2010 la Cassazione “annulla lo scandaloso provvedimento di archiviazione del tribunale di Vicenza sui valori gonfiati dei titoli della Popolare”. Tutto è stato reinviato all’ufficio gip del tribunale del capoluogo veneto. Ma da allora le nebbie padane sono calate più fitte che mai.
Schermata 2015-10-14 alle 20.00.52E Bankitalia? Nel frattempo ha partorito il classico topolino. Una serie di schede, di cifre, di considerazioni dalle quali si comprende – in controluce – la preoccupante situazione della Popolare vicentina, ma senza prendere alcun provvedimento di sostanza. Ecco un paio di passaggi, a proposito di quella “acrobatica” quotazione azionaria a 58 euro e dei possibili scenari a seguire. “Emerge un quadro del patrimonio di vigilanza che, nonostante il rafforzamento patrimoniale deliberato e che s’ipotizza possa trovare esecuzione nel corso dell’anno, richiede attenzione da parte dei vertici della Banca e da parte dei suoi Soci. Se si venissero a concretizzare – veniva precisato – le operazioni strategiche perseguite, in mancanza di ulteriori manovre di bilancio di carattere straordinario, potrebbe essere infatti necessario ricorrere, forse già nel corso del 2009, ad ulteriori operazioni di rafforzamento patrimoniale per mantenere un adeguato coefficiente dei livelli di vigilanza”. Un palese sos, quindi, con il giusto “silenziatore”….
Ma dove sono finiti i milioni di euro delle allegre casse targata Popolare di Vicenza? Quali i beneficiari dei rubinetti aperti con gran generosità da zar Zonin? In cima alle preferenze un tris d’assi, che da soli rastrellano – con operazioni spesso incrociate e finanziariamente complesse – oltre 100 milioni di euro. La hit è composta dai gruppi Fusillo, Marchini e Degennaro, in ordine strettamente “creditizio”.
In pole position, infatti, i pugliesi “Fusillo”, con 50 milioni erogati dalla banca vicentina a favore delle controllate “Fimco” e “Maiora”. Ecco come vengono descritti in zona i Fusillo: “una famiglia che si è trasformata nel corso degli anni in un vero e proprio impero, dai mattoni fino all’alberghiero e all’editoria. Un impero gestito dai due fratelli: il cinquantanovenne Vito è amministratore delegato proprio di Fimco e Maiora, che hanno l’epicentro dei loro affari, mezzo miliardo e passa di euro, in Sud Africa, Congo e Libia, dove stanno mettendo su 500 appartamenti a Bengasi; poi c’è Nicola, che fino al 2003 è stato in parlamento e ora è alla guida della Fusillo Costruzioni. Hanno fatto grossi affari soprattutto realizzando i centri commerciali Ipercoop a Bari, Barletta e Andria, Auchan a Casamassima. Ci sono poi gli alberghi che diventano residence: come l’ex Ambasciatori di Bari, un’operazione da 45 milioni di euro, con un ultimo passaggio da Fimit ai Fusillo”.
Ma eccoci al secondo baciato dalla bea bendata, al Bingo-Zonin. Si tratta del supermattonaro romano Alfio Marchini, conteso da renziani e berlusconiani (sic) per la poltrona di sindaco nel dopo Marino. La Voce ne ha ampiamente documentato le ultime performance economico-finanziarie qualche settimana fa (in basso il link dell’inchiesta), anche sul fronte degli “scambi” con la Popolare di Vicenza, un fido da 30 milioni di euro erogato alla Imvest e un bel po’ di azioni comprate: un “mutuo” soccorso a botte azionarie e milionarie, passando spesso e volentieri per paradisi fiscali e maxi fondi, come l’ottimo “Optimum”. Ma c’è un’altra chicca, da pochi ricordata: il vice di Zonin nella Popolare vicentina è Andrea Monorchio, l’una volta inflessibile Ragioniere generale dello Stato al cui cospetto tutte le autorità si genuflettevano. Una sbirciatina ai conti, Monorchio, non poteva caso mai darla? E non poteva dire una parolina a suo figlio Giandomenico, che proprio alle ultime amministrative a Roma si era candidato nella lista Marchini, tanto per evitare spiacevoli conflitti “creditizi”?
Siamo ai terza della list, i Degennaro. Che sono riusciti ad ottenere una emissione di bond vicentini & popolari da ben 22 milioni di euro. Tra le società di punta targate Degennaro la Power Center, la Partecipazioni Investimenti Real Estate e la Sudcommerci. Quest’ultima, tanto per ricambiare i favori, ha comprato azioni della Popolare per 3 milioni di euro. Ma ecco le ultime sul versante giudiziario, come riportate dal “Quotidiano Italiano” edizione di Bari dello scorso 30 giugno: “sono stati rinviati a giudizio Savino Parisi, boss mafioso del quartiere Japigia, Emanuele Degennaro, rettore dell’università Lum e l’avvocato Vincenzo Lagioia, con l’accusa di riciclaggio con l’aggravante di favoreggiamento di associazione mafiosa. La cifra, enorme, sei miliardi di lire; il metodo, un’operazione immobiliare attraverso una società riconducibile a Degennaro, che ha dichiarato la propria estraneità alle accuse mossegli. L’udienza dinanzi al gip Francesco Agnino è stata rinviata al 4 novembre prossimo. Secondo le ricostruzioni della Dda, nel 2002 il gruppo Degennaro è in forti difficoltà economiche così da accettare i sei miliardi di lire in contanti da Michele Labellarte, imprenditore scomparso nel 2009, ritenuto dalle Fiamme Gialle il cassiere degli Stramaglia. Labellarte avrebbe dovuto “lavare” i proventi del clan Parisi-Stramaglia”.
Ma forse c’è una lavatrice che lava più bianco di tutte, e si trova nelle bianche terre vicentine…

Nella foto di apertura, la sede della Popolare di Vicenza, Alfio Marchini e, a destra, Giovanni Zonin.

Per approfondire:
IL PROSSIMO RE DI ROMA ALFIO MARCHINI / TRA MATTONI, PARADISI FISCALI E ACROBAZIE PERICOLOSE
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