martedì 27 ottobre 2015

IIEB al Quirinale. Presidente ci consenta!

L'evasione fiscale: contanti e denaro elettronico

La sfida fra contanti e bancomat spiegata con un disegnino

A volte ritornano, si dice ogni tanto, ma capita che ritornino anche fin troppo spesso, dico io, così eccomi qui a riparlarne grazie ai fans sfegatati dell’abolizione dei contanti come arma di lotta all’evasione.

Così se averne già scritto nei precedenti articoli A MORTE I CONTANTI, VIVA I CONTANTI (leggi l’articolo) e COME SCOPRIRE CHI EVADE LE TASSE IN ITALIA GIOCANDO A BATTAGLIA NAVALE (leggi l’articolo) in cui ho dato modo di riflettere sui dati che dimostrano che i contanti non sono affatto causa principale di evasione fiscale e di come all’estero la manica sia molto più larga, non è stato sufficiente eccomi qui a ribadire il concetto con parole nuove.
L’occasione fiocca grazie al meritorio (una tantum) atto del Governo Renzi di innalzare la soglia di spesa possibile in contanti dai 1.000 euro precedenti agli attuali 3.000 _ leggi qui la notizia.
Già durante i preannunci di questa decisione abbiamo assistito alle opposte levate di scudi di chi aspettava con ansia una decisione simile e di chi invece vi si oppone a ragion veduta che risponde alla solita abitudine di saper per sentito dire.
I recenti fatti di cronaca finanziaria hanno dimostrato quanto, come sin dai tempi della redazione dei FALSI MITI e dei FALSI MITI SULLA GERMANIA (leggi i falsi miti sulla Germania) andavo rimarcando, la teoria della morale applicata al denaro non abbia alcun fondamento se non sulla bigotta credenza popolare, tanto che finalmente il mito della Germania onesta, ordinata e virtuosa aleggiava soltanto nella fantasia collettiva (ci sono voluti 4 anni ma alla fine persino la cronaca più allineata ha dovuto dimostrare quanto avessi ragione).
Per chi volesse farsene una cultura approfondita esiste questo link sul crollo del falso mito tedesco che annovera tra i commenti un elenco impressionante di scandali e truffe fiscali e non in salsa alemanna.
Ma tornando a noi, la decisione del dandy di Firenze hanno fatto evaporare commenti dal solido qualunquismo riprodotto in serie con il marchio di fabbrica del più insensato moralismo che al solito non trova riscontro nella realtà.

L’EVASIONE VIENE CONTRASTATA DALL’ABOLIZIONE O DALLA LIMITAZIONE DEL CONTANTE

Per scorgere la risposta più definitiva ed esauriente vi rimando alla lettura degli articoli citati a riga 3 e 4.
La risposta è no, perché se per lotta all’evasione intendiamo la micro evasione dobbiamo rassegnarci a veder migliorare la situazione dello 0,5% tondo tondo a fronte di costi spropositati che azzopperebbero ancora di più i pubblici esercizi.
E badate bene che stiamo parlando solo di EVASIONE PRESUNTA, laddove la situazione venisse lasciata intaccata, mentre nel caso di adozione dei famigerati POS ci troveremmo a trasformare quella piccola fetta in EVASIONE CERTA.
Come? Facendo attraversare i soldi dovuti alle banche per la commissione a carico di ogni transazione le colonne dei bilanci (truccati) degli istituti di credito più o meno grandi, ma per questo rimandiamo all’immane mole di lavoro documentatissimo di Marco Saba (video) ed al libro Euroschiavi.

COME TI RISOLVO IL PROBLEMA DELL’EVASIONE

Di primo acchito i suddetti commenti stimolavano la mia reazione così messa per iscritto sulla pagina Facebook di L’Economia Spiegata Facile:
Come ti risolvo il problema della micro evasione?
Facile: cancello il contante e faccio passare tutto il denaro in transazioni elettroniche gestite dalle banche.
Le banche ad ogni transazione trattengono una commissione su cui non pagano le tasse perché presentano bilanci truccati.
COSì SONO DACCAPO avendo spostato il denaro della presunta evasione civile dall’economia reale all’evasione certa nelle casse delle banche.
INGEGNOSO!
Insomma, in caso di adozione di bancomat e carte di credito al posto del contante ciò che non finirebbe in evasione fiscale dei cittadini finirebbe in tasca alle banche che evadendo a loro volta annullando automaticamente il presunto prelievo fiscale dovuto alla trasparenza delle transazioni.
Punto.”
Poi mi son detto che per renderla più semplice avrei potuto spiegarlo con il più proverbiale dei disegnini.

TI FACCIO UN DISEGNINO

Ecco di seguito la spiegazione.
Ad ogni emissione di moneta le banche mettono a bilancio si la moneta ma nella colonna dei passivi invece che in quella degli attivi (su cui realizzano profitti in termini di signoraggio ed eventualmente interessi).
Da questo momento vediamo il percorso parallelo che detta moneta (supponiamo 100 €) farebbe secondo le teorie degli avversari del contante, mentre sulla scena di destra vediamo come questi pensano di risolvere la faccenda.
Chi vince la sfida fra contanti e denaro elettronico?
La sfida fra contanti e denaro elettronico. Chi ci guadagna?

LA SCENA DI SINISTRA

Il denaro contante, dopo essere stato speso può prendere due strade, ma noi ne abbiamo illustrata una; quella dell’evasione PRESUNTA (la strada del pagamento delle tasse la vedremo nella scena di destra ma sarebbe identica anche se proposta in quella di sinistra).
Evadendo le tasse l’esercente si risparmia in 30% di tasse (le stime dicono che la tassazione complessiva ammonta al 52%) che rimanendo nel circuito economico reale riprendono il giro e non procurano ulteriori guadagni alla banca che incassa profitto solo nel caso di nuova emissione di credito.
All’atto di emissione però la Banca, dichiarando i 100 euro nella colonna dei passivi si risparmia il pagamento di IRES e di IRAP per un ammontare di 30€.

LA SCENA DI DESTRA

Ora veniamo alla scena di destra che illustra il circuito monetario considerato virtuoso della moneta elettronica emessa dalla Banca.
In questo caso dopo la transazione commerciale le strade si dividono:
– 2 euro prendono la strada di ritorno alla Banca sotto forma di commissione (abbiamo considerato una cifra appena più alta della media che ci aiuta ad arrotondare, per i dati reali tornate al primo articolo citato in riga 3);
– 30 euro finiscono in tasse, ma si tratta di un incasso solo apparentemente dello Stato, perché in realtà il bottino viene dirottato alla banca creditrice nei suoi confronti degli interessi (e del capitale) “prestato” in occasione dell’acquisto dei BTP necessari alla spesa pubblica;
– 68 euro sono l’incasso netto.
Solo quest’ultima cifra rimane in circolazione e per un nuovo acquisto di 100 euro sarà necessaria una nuova emissione monetaria da parte delle banche, pari alla differenza necessaria, che farà lo stesso percorso.
Il risultato è che se nel primo esempio di circolazione monetaria la Banca riesce ad intascarsi esclusivamente “la cresta” fatta sulle tasse non pagate per la nuova emissione di credito, nel secondo la cifra lievita notevolmente per poi sparire dalla porta di servizio con mèta i paradisi fiscali.

SOLUZIONE FINALE?

Se volessimo risolvere alla radice basterebbe applicare due semplici  norme: 1. tassare l’emissione monetaria delle banche commerciali; 2. creare una banca pubblica di proprietà dei cittadini, così potremo anche eliminare il contante perché il signoraggio sarebbe di pubblico dominio.
In attesa della prossima occasione che non mancherà per riparlare di questo argomento vi invito a far circolare il presente disegnino. Non costa nulla e ci fa guadagnare molto in conoscenza.

Grazie a Marco Saba e a Nino Galloni per la collaborazione.

BAGNAI: "I più grandi evasori sono le banche"


Alberto Bagnai - Interventi Coffee Break 23/10... di inriverente

I Bitcoin sono esenti dal pagamento dell’Iva

Corte di Giustizia: i Bitcoin sono esenti dal pagamento dell’Iva

26 ottobre 2015 -
 
Con Sentenza pubblicata il 22 Ottobre 2015, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è espressa in merito all’Imposta sul Valore Aggiunto delle operazioni di cambio concernenti i “Bitcoin”: da ora in avanti la moneta virtuale sarà esente dal pagamento dell’Iva in Europa.
Secondo i fatti che hanno generato la controversia, il Sig. Hedqvist risultava titolare di un’attività di cambio esercitata con il supporto di una società di intermediazione, consistente nella compravendita di Bitcoin in cambio di valute tradizionali, ottenendo un profitto dalla differenza tra i prezzi di acquisto e di vendita applicati.
Allo scopo di ottenere un chiarimento sugli aspetti fiscali, Hedqvist si era preventivamente rivolto alla Commissione Tributaria svedese, che il 14 Ottobre 2013 si espresse ufficialmente a favore dell’esenzione della sua attività dal pagamento dell’Iva.
L’Amministrazione finanziaria, però, fu di tutt’altro avviso, tanto da interpellare la Corte di Giustizia sull’interpretazione degli articoli 2 paragrafo 1 e 135 paragrafo 1 della Direttiva 2006/112/ce per comprendere se l’attività in commento poteva considerarsi a titolo oneroso e beneficiare dell’esenzione fiscale contestata.
I Bitcoin rappresentano una valuta virtuale, generata in rete e scambiata tra gli utenti attraverso un “indirizzo Bitcoin” (equiparabile al numero di un conto corrente bancario) e che la Banca Centrale Europea ha definito “a flusso bidirezionale”, differente dalla moneta elettronica perché espressa in unità di calcolo virtuale e non tradizionale.
Il primo step della CGUE consisteva nell’appurare se le operazioni di cambio potevano essere qualificate come cessione di beni o prestazioni di servizi “effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale” come espresso dall’articolo 2 paragrafo 1 lettere a) e c).
Secondo la Corte la possibilità di inserire l’attività contestata tra le cessioni di beni doveva essere esclusa in quanto i Bitcoin non erano un “bene materiale” nel senso fatto proprio dall’articolo 14 della Direttiva: la moneta virtuale, infatti, non trasferiva alcun diritto di proprietà e veniva utilizzata unicamente per il cambio fra vari mezzi di pagamento.
L’attività del convenuto configurava, piuttosto, una prestazione di servizi a titolo oneroso ex articolo 2 paragrafo 1 lettera c), in quanto tra il titolare e gli utenti ricorreva una relazione diretta ed un rapporto giuridico sinallagmatico ove “il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al beneficiario.
In merito alla seconda questione pregiudiziale, la Corte comunitaria è arrivata a sostenere che solo il contenuto dell’articolo 135 paragrafo 1 lettera e), concernente “divise, banconote e monete con valore liberatorio”, avrebbe potuto giustificare l’esclusione delle operazioni sui Bitcoin dal pagamento dell’Iva.
Le esenzioni sono state introdotte con l’obiettivo di risolvere le difficoltà sulla determinazione della base imponibile e l’importo stesso dell’Iva in Europa. Dato che le medesime problematiche sono state riscontrate anche negli scambi con moneta virtuale, limitando l’applicazione dell’articolo 135 lettera e) alle valute tradizionali, la norma avrebbe prodotto solo in parte i suoi effetti.
Come diretta conseguenza, se la moneta virtuale viene accettata e utilizzata come mezzo di pagamento alternativo a quello legale a fronte di una somma pagata come differenza tra i prezzi di acquisto e vendita, le attività di cambio di Bitcoin in moneta tradizionale e viceversa, rientrano a pieno titolo tra le attività esenti dall’applicazione dell’Iva per le transazioni compiute all’interno del territorio europeo. Il tutto nella convinzione generale che questa novità apporterà grandi benefici nel mercato interno comunitario.
(Corte di Giustizia dell’Unione europea – Quinta Sezione, Causa C-264/2014, Sentenza del 22 Ottobre 2015)

ITALIA5STELLE‬ IMOLA ONESTA nelle banche... Il M5S cè